Economia

Onu: “Più grande furto della storia”

Nel mondo le donne guadagnano in media il 23% in meno degli uomini. Lo affermano le Nazioni Unite, secondo cui si e’ difronte al “piu’ grande furto della storia”. Per ogni dollaro guadagnato da un uomo, una donna guadagna in media 77 centesimi e – sottolinea la consigliera delle Nazioni Unite Anuradha Seth – non vi e’ “un solo paese ne’ un solo settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini”. Notevoli comunque, le differenze tra paesi: tra i membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), vi sono paesi con una differenza del 5% come Italia e Lussemburgo e altri con un gap del 36% come la Corea del Sud. Secondo l’Eurostat (che calcola il divario retributivo di genere sulla base della differenza del salario medio lordo), nell’Unione europea le donne in media guadagnano circa il 16% in meno degli uomini. Il “gender pay gap” era nel 2015 del 16,3% nella Ue a 28 stati e del 5,5% in Italia, in riduzione dal 7% del 2013 e dal 6,1% del 2014. Nel nostro paese si rileva la percentuale piu’ bassa d’Europa insieme a quella del Lussemburgo. Ma gli aspetti da considerare nel divario salariale sono molti: dalla mancata remunerazione del lavoro domestico, alla minore partecipazione al mercato del lavoro, al livello delle qualifiche. Le lavoratrici hanno meno ore retribuite, operano in settori a basso reddito, sono meno rappresentate nei livelli apicali delle aziende. E ricevono in media salari piu’ bassi rispetto ai colleghi maschi per fare esattamente lo stesso lavoro. La differenza salariale si amplia generalmente in relazione all’eta’ e alla presenza di figli: con ogni nascita le donne perdono in media il 4% del loro stipendio rispetto a un uomo; per il padre il reddito aumenta invece di circa il 6%.

Cio’ dimostra, secondo Seth, che buona parte del problema e’ il lavoro familiare non retribuito che le donne continuano a svolgere in modo sproporzionato. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro riferiti al 2015, il 76,1% degli uomini in eta’ lavorativa fa parte della popolazione attiva, contro il 49,6% delle donne. Al ritmo attuale, avverte l’Onu, ci vorranno piu’ di 70 anni per porre fine al divario salariale tra uomini e donne. “Fino a quando non ci sara’ una parita’ anche dal punto di vista economico, non potranno esserci pari opportunita’ ne’ vera autonomia”, afferma il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. Per cambiare la situazione “si puo’ agire su molte leve, a partire da quelle culturali e formative; ma, da un lato, il fisco e, dall’altro, la contrattazione restano gli strumento migliori”. Secondo la Uil occorre “un sistema fiscale piu’ leggero per salari e pensioni piu’ pesanti, nell’ambito di una riforma che possa contribuire anche al superamento di questo divario di genere. Inoltre, a livello di contrattazione, si trattera’ di implementare forme di conciliazione vita-lavoro, che aiutino le donne sul fronte dell’occupazione e del reddito”. Necessita’ indicate anche dalla segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, secondo cui la situazione delle donne e’ “davvero inaccettabile”.

Il divario salariale – fa notare Furlan – e’ un tema su cui il sindacato a livello internazionale “deve fare di piu’ ponendo in tutti i consessi la necessita’ di affrontare il tema del divario salariale e di una migliore conciliazione tra il lavoro delle donne e la cura della famiglia”. “Nel nostro paese – osserva Furlan – abbiamo fatto passi avanti negli ultimi anni attraverso la diffusione della contrattazione a tutti i livelli”. Ora si tratta di “garantire alle donne che lavorano reali politiche attive di valorizzazione e di promozione. Piu’ sviluppo professionale anche a chi come le donne deve, in molti momenti della vita, conciliare il lavoro con la cura delle persone. Con i contratti – spiega Furlan – stiamo puntando molto sul welfare aziendale, negoziando cose concrete: assistenza sanitaria integrativa, bonus economici per ogni bambino nato, nidi aziendali, una maggior flessibilita’ dell’orario di lavoro, piu’ telelavoro, piu’ formazione. Ma anche lo stato dovrebbe fare di piu’ con interventi fiscali mirati per ridurre il divario salariale tra uomini e donne, come fanno altri paesi europei. Su questo siamo molto in ritardo. Se anche chi si assenta per maternita’ o effettua orari a part time per la cura dei figli non venisse considerato come spesso accade una lavoratrice residuale ma una risorsa su cui continua ad investire, si attenuerebbero i differenziali ingiustificati dei salari”.

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