La cerimonia di apertura ha dato il via a una settimana di lavori che si preannunciano tesi, con la Conferenza di alto livello per la soluzione a due Stati che potrebbe segnare un punto di svolta diplomatico. Oltre ai due Paesi europei, un gruppo in via di allargamento – che include Malta, Australia, Canada, Belgio, Lussemburgo e Portogallo – annuncia l’intenzione di procedere al riconoscimento, un passo dal forte peso simbolico e politico.
Per un’adesione formale delle Nazioni Unite sarebbe necessario il via libera del Consiglio di Sicurezza, dove Washington eserciterebbe il diritto di veto. Tuttavia, si delinea uno scontro tra l’amministrazione americana e un nutrito drappello di alleati tradizionali.
Una settimana di tensioni e assenze significative
Il dibattito generale dell’Assemblea inizierà domani, ma sarà caratterizzato da un’assenza di rilievo: quella dei delegati palestinesi, ai quali il governo statunitense ha negato i visti d’ingresso. Grazie a una risoluzione approvata il 19 settembre, l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) potrà partecipare a distanza, e il presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen) interverrà al dibattito con una dichiarazione preregistrata.
La Palestina gode dal 2012 dello status di Stato osservatore non membro, un riconoscimento importante ma che poco incide sulla realtà del conflitto. Proprio sul conflitto a Gaza, l’Assemblea Generale ha votato il 12 settembre la “Dichiarazione di New York”, che impegna i Paesi a sostenere una road map per un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi e la creazione di uno Stato palestinese sovrano.
La risoluzione ha ottenuto 142 voti favorevoli, contro 10 contrari e 12 astensioni. Questo voto rappresenta un chiaro segnale della posizione della maggioranza della comunità internazionale, sebbene non abbia carattere vincolante come le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
La ferma opposizione israeliana e la posizione di Roma
Israele respinge con forza qualsiasi iniziativa unilaterale. “Il riconoscimento dello Stato palestinese non promuove la pace, ma destabilizza la regione e mina la possibilità di una soluzione futura”, ha dichiarato oggi su X Oren Marmorstein, portavoce del ministero degli Esteri israeliano. Per il governo di Tel Aviv, un simile passo favorirebbe il terrorismo di Hamas e pregiudicherebbe i negoziati.
L’Italia, pur sostenitrice della soluzione “due popoli, due Stati” insieme ad altri 141 paesi, mantiene una posizione cauta. Il governo Meloni non intende procedere al riconoscimento prima dell’avvio di un concreto processo diplomatico. La premier interverrà mercoledì all’Assemblea, mentre il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani sarà impegnato in una serie di incontri bilaterali e in un briefing del Consiglio di Sicurezza.
L’Ucraina cerca di riconquistare la scena globale
L’agenda dei lavori rischia di essere egemonizzata dalla crisi mediorientale, offuscando la guerra in Ucraina. Il presidente Volodymyr Zelensky cercherà di riportare l’attenzione sulla situazione nel suo Paese in un momento di aumentate tensioni con la Russia e di stallo negoziale.
Zelensky, che incontrerà il presidente americano Donald Trump a margine dell’Assemblea, parlerà mercoledì. Per la Russia interverrà sabato il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Il Consiglio di Sicurezza terrà un incontro di alto livello dedicato all’Ucraina, mentre il discorso di Trump è atteso per domani. Questa duplice crisi mette a dura prova il sistema multilaterale delle Nazioni Unite in un momento particolarmente delicato per gli equilibri geopolitici globali.