Nadia Battocletti non è più soltanto la promessa dell’atletica italiana. È una certezza. Dopo l’argento conquistato nei 10.000 metri, la mezzofondista trentina si regala un bronzo scintillante nei 5000 ai Mondiali di Tokyo, salendo per la seconda volta in pochi giorni sul podio iridato. In una finale elettrica, l’azzurra ha tenuto testa alle regine africane Beatrice Chebet e Faith Kipyegon, chiudendo a un soffio dalle due keniane, rispettivamente oro e argento.
Con un tempo di 14’55”42, Battocletti si conferma tra le migliori interpreti mondiali della specialità, in una gara che ha visto la Chebet imporsi con 14’54”36 davanti alla connazionale Kipyegon (14’55”07). Un risultato che va ben oltre il valore della medaglia: per l’Italia è la settima, la più ricca spedizione azzurra di sempre in un Mondiale di atletica.
Dietro la statistica c’è la corsa di una giovane donna che, con coraggio e intelligenza tattica, ha osato l’impossibile. Attenta a ogni allungo, capace di portarsi in testa a 500 metri dal traguardo, Battocletti ha resistito fino all’ultima curva all’assalto delle due campionesse kenyane, cedendo solo negli ultimi metri. Una prova di maturità che la proietta definitivamente nell’élite mondiale.
Un’impresa che ha il sapore della storia
Quella di Tokyo non è solo la medaglia di Nadia. È il simbolo di un’Italia che, dopo anni di attese e delusioni, torna protagonista assoluta nello scenario mondiale. Con il bronzo della Battocletti, l’Italia raggiunge quota sette podi, superando il primato di Göteborg 1995.
Il bottino parla chiaro: oro di Mattia Furlani nel lungo, argenti di Battocletti nei 10.000, Andrea Dallavalle nel triplo e Antonella Palmisano nella 35 km di marcia, bronzi di Leonardo Fabbri nel peso, Iliass Aouani in maratona e appunto Battocletti nei 5000. Un bilancio che consente alla squadra azzurra di scrivere la pagina più luminosa della propria storia.
Per Nadia, invece, è la consacrazione definitiva. A soli 25 anni, l’atleta delle Fiamme Azzurre diventa la seconda donna bianca, dal 2003, a centrare il podio nei 5000 metri ai Mondiali, dopo la tedesca Konstanze Klosterhalfen nel 2009. Un traguardo che rievoca l’argento di Roberta Brunet nel 1997, quando il dominio africano muoveva i primi passi.
“La medaglia non era scontata dopo i 10.000. Ho pensato che, se ero stanca io, lo erano anche loro. In me c’era una grande voglia, ho messo il fuoco nell’ultimo giro ed è andata bene” ha detto Nadia Battocletti, a caldo dopo la finale. La voce di Nadia, subito dopo il traguardo, racconta l’essenza della sua impresa: lucidità e istinto, la stessa miscela che l’ha spinta a sfidare due atlete leggendarie come Chebet e Kipyegon. “Il trono non è solo in mano all’Africa”, ha dichiarato la trentina, consapevole di aver aperto una breccia simbolica in una disciplina da sempre dominata dal continente nero.
Non solo orgoglio personale, dunque. “Chiudere con due medaglie non era nemmeno nei miei sogni migliori. Ora voglio sognare più in grande per Los Angeles”, ha detto guardando già verso l’Olimpiade del 2028. Per l’Italia, invece, il bronzo rappresenta una pietra miliare: “Sono felice di essere stata io a portare la medaglia storica della spedizione”.
Record azzurro e bilancio di Tokyo
Il bronzo ha tanti significati: personali, culturali e agonistici. Per l’Italia dell’atletica leggera è la conferma di un’edizione di portata storica. La spedizione italiana a Tokyo 2025 ha lasciato il segno con un oro, tre argenti e tre bronzi, andando oltre il precedente massimo di sei podi fissato a Göteborg nel 1995.
Nella capitale giapponese la spedizione ha ottenuto l’oro con Mattia Furlani nel salto in lungo; argenti con Nadia Battocletti nei 10.000, Andrea Dallavalle nel salto triplo e Antonella Palmisano nella 35 km di marcia; bronzi con Leonardo Fabbri nel peso, Iliass Aouani nella maratona e appunto Battocletti nei 5000. Un conto che trasforma Tokyo in una pietra miliare per il movimento azzurro.
Quella di Battocletti segna anche una continuità: è la seconda medaglia italiana nella storia dei 5000 ai Mondiali, dopo l’argento di Roberta Brunet ad Atene 1997. Il progresso è netto, la presenza ai vertici è costante, la fiducia è aumentata.
L’altra faccia di Tokyo: la beffa della 4×100
Alla gioia di Battocletti fa da contraltare l’amarezza per la 4×100 maschile. Il quartetto azzurro — Fausto Desalu, Marcell Jacobs, Lorenzo Patta e Matteo Melluzzo — è stato eliminato in batteria a causa di un episodio controverso che ha segnato la prova al primo cambio.
Jacobs, pronto a ricevere il testimone da Desalu, è stato urtato alla spalla destra dal sudafricano Shaun Maswanganyi. Pur perdendo l’equilibrio, l’olimpionico ha proseguito l’azione, ma il contatto ha compromesso la velocità e la sincronia della staffetta, consegnando all’Italia il sesto posto in batteria con 38”52.
Il ricorso italiano non è stato accolto: i giudici hanno ritenuto che Jacobs abbia a sua volta danneggiato l’atleta sudafricano; di conseguenza la squadra del Sudafrica ha avuto la possibilità di disputare una prova a tempo per tentare l’accesso alla finale. “Non mi era mai capitata una cosa del genere”, ha commentato Jacobs, parlando di un episodio “strano” e “inspiegabile”.
Così, mentre una parte d’Italia festeggia un record che riscrive la storia, un’altra mastica amaro. L’atletica, sport di misure minime e dettagli decisivi, ricorda che ogni medaglia nasce dal rischio, dalla resilienza e talvolta da un margine infinitesimale tra gloria e beffa.