Palermo, Teatro Massimo dei miracoli: da Manon al ritorno di Muti

Jader Bignamini
24 ottobre 2020

Un Miracolo? Un colpo di Fortuna? Dimostrazione che Volontà è Potere? Il teatro Massimo di Palermo porta a segno un altro goal e in questa era pandemica ottiene la presenza del Maestro – come Riccardo Muti è ormai riconosciuto nel panorama musicale mondiale. Il Maestro per tre appuntamenti: il primo con l’Orchestra Cherubini, la Sua orchestra; gli altri due alla guida dell’Orchestra del Massimo. Il primo appuntamento, il 30 novembre, vedrà Muti interpretare la Sinfonia n. 3 in Re maggiore D200 di Franz Schubert e la Sinfonia n. 9 in Mi minore op.95 “Dal nuovo mondo” di Antonín Dvořák. La serata segnerà la chiusura della tournée dell’Orchestra Cherubini e di Muti che, prima di Palermo, farà tappa al LAC di Lugano, alla Fenice di Venezia e al Teatro Petruzzelli di Bari. Il 4 e 5 Dicembre il Maestro tornerà a guidare, dopo 50 anni, l’orchestra e il coro del Massimo, nella Messa da Requiem di Verdi, con i solisti con il soprano Joyce El-Khoury, il mezzosoprano Martina Belli, il tenore Saimir Pirgu e il basso Riccardo Zanellato. In realtà Riccardo Muti da quel lontano ottobre del 1970 era già tornato a Palermo, nel 2003 e nel 2010 per l’esattezza, ma non alla guida delle compagini musicali palermitane, quanto piuttosto a dirigere i Wiener Philarmoniker e la Philarmonia Orchestra di Londra, ospiti del teatro palermitano.

Ancora un tassello importante che va ad arricchire la programmazione autunnale della Fondazione che pur navigando a vista – anche se Sotto una nuova Luce – in questo nebuloso clima da Covid 19, smontando e rimontando progetti, idee, pensieri, levando e mettendo, sta dimostrando una perseveranza che combatte con appuntamento su appuntamento le difficoltà create dalle misure sanitarie dovute alla recrudescenza della pandemia.  E il tassello Muti arriva proprio quando ancora non si sono del tutto spenti – stasera l’ultima rappresentazione – gli echi degli applausi che stanno salutando la realizzazione in forma da concerto della Pucciniana Manon Lescaut. I tre cast internazionali avvicendatisi nelle quattro serate – 21, 22, 23 ed oggi – diretti da Jader Bignamini, hanno dato vita a tre diverse e uniche interpretazioni dell’opera del compositore toscano. Due le regine, Anna Pirozzi e Maria Josè Siri, Manon differenti, toccanti, perfettamente calate nel complesso ruolo creato da Puccini, pronte ad evidenziarne – vocalmente e scenicamente – i capricci fanciulleschi come il dramma e la tragedia finale. Tre i Des Grieux: Yusif Eyvazov – tornato a Palermo dopo il recital estivo con la moglie Anna Netrebko, che ha dovuto però cedere la recita del 23 a Stefano La Colla causa le restrizioni Covid per il rientro a Mosca – Carlo Ventre per le recite del 22 e 24. Alessio Arduini – già ascoltato come Don Giovanni poche settimane fa – e Andrea Vincenzo Bonsignore nel ruolo del fratello di Manon, Lescaut. Cast che nonostante il distanziamento sul palco, l’impossibilità di interagire fisicamente con i propri compagni e partner è comunque riuscito a rendere visivamente il dramma amoroso raccontato dalla musica di Puccini.

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Musica che necessita oltre a voci non comuni – e tutti gli interpreti hanno brillato per le loro peculiari doti e abilità tecniche – ma soprattutto capacità di recitazione che possano cogliere le sfumature di cui il compositore di Torre del Lago ha voluto musicalmente colmare i diversi personaggi dell’opera. Il canto generoso di Yusif Eyvazov sicuramente porta chi scolta a superare il primo impatto con un timbro, metallico, alle volte graffiante – che sicuramente non agevola il tenore azerbaijano che invece possiede una ottima tecnica che lo aiuta a superare i pericoli del canto verista – concentrandosi invece sul fraseggio, sulle linee armoniche, il pathos interpretativo. Il finale con Anna Pirozzi, sua Manon il 21, strappa il cuore e tocca tutte le corde della tragedia, che giunge al suo Zenit nel grido disperato “Non voglio morire”. Complice di questa ottima resa l’Orchestra del Massimo e il suo direttore Jader Bignamini. L’Intermezzo raggiunge una perfezione surreale e tutto l’ultimo atto non è che un crescendo di pathos. Ogni frase, ogni suono, vibrano sciogliendo gli animi del pubblico, proiettandolo verso quel deserto dove la morte attende Manon e Des Grieux, riempiendo l’aere del teatro che ha rischiato – e forse ancora rischia – di essere un deserto, di essere “solo, sperduto, abbandonato” un po’ come Manon, e che solo la musica – che continua a riempirlo – può salvare.

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Con L’Orchestra del Massimo il suo Coro, diretto da Visco, che ancora una volta si dimostra quel perfetto organo espressivo che è, coro cui Puccini affida momenti ironici e drammatici, una gamma che la compagine palermitana delinea in modo esemplare. Ironia e dramma un connubio da sempre vitale nelle opere pucciniane che il compositore dosa immettendo all’interno dell’opera personaggi come l’anziano ricco Geronte – Luca dall’Amico – amante di Manon e colui che la denuncia facendola deportare, o l’Oste della locanda – Giuseppe Esposito – , ed altri personaggi che pur di secondo piano hanno una loro funzione drammaturgica e musicale ben definita: il Sergente di Antonio Barbagallo, il Musico di Adriana Di Paola, il Comandante di Marina di Cosimo Diano. Manon segna quindi un altro successo per il Massimo in questa strana stagione autunnale da 200 spettatori a sera alimentando quel sentimento di speranza che vorrebbe vedere presto il teatro pieno come una volta. Chissà che le date del ritorno del Maestro Muti – cui il sindaco di Palermo, Orlando, attribuirà la cittadinanza onoraria – compiano il miracolo. Sino a quel momento da Novembre i 200 biglietti a sera saranno messi in vendita: a buon intenditore poche parole.

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