Pressing Democratici su legge elettorale. Le carte di Renzi per voto giugno, ma strada è in salita

Pressing Democratici su legge elettorale. Le carte di Renzi per voto giugno, ma strada è in salita
5 gennaio 2017

Matteo Renzi tornera’ a Roma la prossima settimana. Non per varare una nuova segreteria (il tema sara’ sul tavolo, spiegano fonti dem, tra una decina di giorni) ma per aprire un confronto ampio sulla legge elettorale. Anche con eventuali incontri al Nazareno per cercare una convergenza su un testo da depositare in Parlamento. E’ un pressing asfissiante quello che, spiegano le stesse fonti, dovrebbe partire a breve per tentare di rispettare il ‘timing’ del voto a giugno. Chiaramente il passaggio decisivo sara’ il 24 gennaio, con il pronunciamento della Corte Costituzionale, ma uno dei compromessi sul quale convergere potrebbe essere il ‘Consultellum’ a turno unico, con un premio non alto di maggioranza. “Entro la fine di gennaio – insiste un ‘big’ renziano – si capira’ chi vuole un accordo su un sistema di voto e chi intende fare melina”. Al momento la posizione del Pd e’ quella del Mattarellum, ma l’ipotesi di una mano tesa a Berlusconi su un sistema di voto non sgradito a FI e’ sul tavolo.

AL COLLE PER IL VOTO Come sul tavolo, riferiscono fonti parlamentari vicine al segretario dem, sono le strade per spingere sulle elezioni entro l’estate.  L’obiettivo e’ far capire che il Pd vuole sul serio rispondere all’appello del Capo dello Stato ed e’ per questo motivo che Renzi potrebbe intestarsi la partita in prima persona. Ma qualora fosse chiara l’indisponibilita’ delle forze politiche a cercare una soluzione, le ‘carte’ valutate sono due: la prima e’ quella, per mettere in evidenza l’urgenza della questione, di non escludere di porre la fiducia in Parlamento su un testo che raccolga il piu’ ampio consenso. La seconda – sempre qualora fosse chiara la non volonta’ dei partiti ad un accordo su una legge elettorale – quella di riunire la direzione del Pd e far emergere la fotografia del ‘pantano’, dichiarando di fatto la legislatura finita per manifestare al Capo dello Stato la posizione conseguente, ovvero che l’unica ‘exit strategy’, senza la disponibilita’ delle forze politiche e i numeri in Parlamento, sono le urne. Al momento resta lo stallo sulla legge elettorale. Il primo nodo da sciogliere e’ la presidenza della Commissione Affari costituzionale del Senato, dove siedono tre membri della minoranza dem. Da giorni si lavora ad una ipotesi Chiti (con il suo spostamento dalla Commissione Affari esteri) ma i bersaniani nicchiano. Si sta valutando se proporre all’ex dalemiano Latorre (ora a guida della Commissione Difesa) di sostituire Anna Finocchiaro. Ma il rebus si dovrebbe sciogliere non prima del 16 gennaio.

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SFIDUCIA POLETTI In quella settimana dovrebbe arrivare nel frattempo anche il voto dell’Aula di palazzo Madama sul ‘caso Poletti’. A pochi giorni dalla decisione della Consulta sul referendum sul jobs act. Il Pd e il governo, riferiscono fonti parlamentari dem, non faranno barricate a difesa del responsabile del Lavoro, qualora lo stesso Poletti non decidesse prima di dimettersi. Non e’ escluso che possano esserci assenze strategiche quel giorno anche nelle fila del Pd. “Se pensano che gli facciamo cadere il governo noi se lo scordano”, dicono pero’ dalla minoranza dem. Tuttavia i fari in ogni caso saranno puntati proprio sulla legge elettorale. Il Pd ha chiesto che le forze politiche si assumano la responsabilita’ di sedersi attorno ad un tavolo. Al momento ha dato il suo assenso solo il Carroccio (che propone il Mattarellum). FI dovrebbe dare il suo ok ma solo qualche giorno prima del pronunciamento della Consulta, per rispondere agli inviti di Mattarella ma per far capire che prima di febbraio e’ inutile anche addentrarsi nel tema. “Ma se non ci sono le condizioni politiche per trovare un’intesa si proceda con le indicazioni della Consulta”, e’ il ‘refrain’ dei renziani. Con due possibilita’, quindi, da valutare quando arrivera’ il momento.

ASSE RENZI-GENTILONI La prima: spingere sull’urgenza del tema in Parlamento con un voto di fiducia (voto che c’e’ stato anche sull’Italicum), la seconda con un accordo ‘blindato’ con le altre forze del Pd per arrivare al voto. Renzi non ha affatto deciso quale percorso intraprendere ma, spiega chi gli ha parlato, e’ sempre convinto sulla necessita’ di giocare a carte scoperte e di non farsi logorare da chi ha l’unico obiettivo di chiudere la legislatura nel 2018. “Se di fatto si dovesse togliere l’appoggio al governo e chiedere il voto, le forze politiche non avrebbero piu’ alibi. Molti partiti, almeno a parole, sono per le elezioni”, spiega un renziano. La forza di questo ragionamento consiste, viene fatto notare, dall’asse di ferro che c’e’ tra Renzi e Gentiloni. Le variabili sono, pero’, tante: non tutto il Pd vuole le urne anticipate (i franceschiniani, per esempio, frenano), il Cavaliere spinge per allungare la legislatura e canche fuori dal Parlamento c’e’ chi ha piu’ volte fatto notare gli appuntamenti internazionali che attendono l’Italia e l’importanza di rendere omogenee le leggi elettorali per Camera e Senato prima di andare alle urne.

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