Politica

Pd punta a ‘maggioranza larga’ per Draghi che tenga dentro i Cinquestelle

Adesso il Pd prova a improvvisare un “piano B”, dopo il naufragio del “Conte ter” e l’incarico a quel Mario Draghi che solo un paio di settimane fa Andrea Orlando aveva giudicato come non percorribile per i democratici. Nicola Zingaretti assicura sostegno a Mario Draghi, spiegando che con lui “si apre una fase nuova che può portare il Paese fuori dall’incertezza creata da una crisi irresponsabile e assurda”, ma al tempo stesso chiarisce che il Pd “metterà in campo le sue idee” e cercherà di “farle pesare nelle scelte”. Inoltre, i democratici avviano da subito un’iniziativa per provare a tenere M5s almeno nell’orbita del governo Draghi, se non proprio dentro, perché quello che davvero i vertici democratici vogliono evitare è di ritrovarsi da soli insieme magari a Matteo Renzi e al centrodestra a sostenere l’ex presidente della Bce. Per questo Zingaretti ha subito chiesto, e ottenuto, un vertice con Leu e 5 stelle. Un incontro “difficile”, viene raccontato da chi era al tavolo, “interlocutorio”, ma che “ha aperto comunque una breccia”.

Nelle note ufficiali tutti e tre i partiti spiegano che si è deciso di portare avanti un “percorso comune”, sia pure tenendo conto delle “differenze” rispetto a Draghi. A microfoni spenti, chi era alla riunione spiega: “Il nodo su cui lavorare è quello del profilo politico del governo. M5s non accetterà mai un esecutivo tecnico, alla Monti, ma sul governo politico è disponibile a ragionare. Si tratta di capire fin dove sono disposti ad arrivare”. Del resto, Luigi Di Maio in serata ha evitato di pronunciarsi su Draghi, ribadendo che il punto è lavorare ad un “governo politico”. Il problema è capire cosa significhi “governo politico”. Può voler dire rimarcare una continuità con alcune scelte simbolo del governo Conte bis, ma anche e soprattutto prevedere ministri di diretta emanazione dei partiti, magari gli stessi leader. Una soluzione che probabilmente non è quella preferita da Draghi, ma sulla quale si sta ragionando per provare a smuovere il no dei 5 stelle. “Ma può anche significare – continua chi era alla riunione – mettere dei paletti al perimetro”, cioè escludere il centrodestra o almeno Salvini e Fdi.

Un quadro complicato, che Andrea Orlando, dopo l’incontro racconta con evidente preoccupazione. “Avevamo detto che sarebbe stato complicato trovare un nuovo equilibrio”. Il Pd, insiste, lavora per una “maggioranza larga” e questa definizione può essere intesa in molti modi, perché “anche un’astensione” del Movimento 5 stelle, sarebbe già un dato importante. Permetterebbe al Pd di tenere in vita quell’asse con il Movimento – e con Conte – sul quale Zingaretti, Orlando e Bettini hanno lavorato a lungo. Quell’asse che, insistono i leader Pd, era il vero obiettivo di Renzi quando ha deciso di aprire la crisi. Il problema è capire fino a che punto il Pd insisterà sulla “maggioranza larga”, ovvero sul coinvolgimento dei 5 stelle. Dario Franceschini è apparso molto meno preoccupato nel tracciare i prossimi scenari, arrivando a dirsi certo che Conte per primo “sosterrò coerentemente Draghi”. Bisogna capire cosa deciderà di fare il Pd se la “maggioranza larga” con i 5 stelle dentro non fosse possibile. Perché lo scenario di tirarsi indietro e puntare alle elezioni evocato nei giorni scorsi da Bettini non è nemmeno pensabile per la maggior parte dei parlamentari democratici.

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