“Pfizergate”, von der Leyen sotto accusa: difesa arrogante e silenzi che pesano
Ursula von der Leyen
Un’aula infuocata, quella del Parlamento europeo a Strasburgo, ha ospitato oggi un dibattito al vetriolo sulla mozione di censura presentata contro Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, per il cosiddetto “Pfizergate”. La vicenda, che continua a far discutere, riguarda la poca trasparenza nella gestione dei negoziati per i vaccini anti-Covid, in particolare gli scambi di messaggi tra von der Leyen e Albert Bourla, Ceo di Pfizer, mai resi pubblici. Ma la difesa di von der Leyen, aggressiva e senza concessioni, ha lasciato più ombre che luci, sollevando critiche per il suo tono e per la decisione di non replicare al termine del dibattito, un silenzio che sa di arroganza.
La sentenza della Corte di giustizia
La mozione, promossa dall’eurodeputato conservatore rumeno Gheorge Piperea e sostenuta da un’eterogenea coalizione che include ECR, Sovranisti, Patrioti, M5S e parte dell’estrema sinistra, accusa la presidente di scarsa trasparenza e gestione opaca durante i negoziati per i vaccini, culminati in contratti miliardari con Pfizer. A gettare benzina sul fuoco, la sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso 14 maggio, che ha censurato la Commissione per aver soppresso gli Sms tra von der Leyen e Bourla, accogliendo il ricorso di una giornalista del New York Times. Un episodio che ha messo in discussione la credibilità della Commissione e alimentato sospetti di favoritismi.
Il mistero dei messaggi
Von der Leyen ha risposto con un discorso dai toni decisi, quasi sprezzanti, dipingendo le accuse come “menzogne” e “teorie cospirative” orchestrate da estremisti che vogliono “erodere la fiducia nella democrazia”. Ha ribadito che i negoziati per i vaccini furono condotti “in modo trasparente” e che i contratti furono approvati dai 27 Stati membri, negando qualsiasi clausola nascosta o obbligo imposto. “Non c’erano segreti”, ha dichiarato, liquidando le critiche come tentativi di riscrivere la storia della gestione della pandemia. Ma il suo rifiuto di rendere pubblici i messaggi con Bourla, unito alla decisione di non intervenire a chiusura del dibattito, ha alimentato l’impressione di una leadership che si sottrae al confronto quando le domande si fanno scomode.
Presunte ingerenze elezioni, Ursula dribbla
Le accuse di Piperea non si limitano al Pfizergate. L’eurodeputato ha puntato il dito anche contro presunte ingerenze della Commissione nelle elezioni in Germania e Romania, un tema che von der Leyen ha liquidato come “tratto dal repertorio degli estremisti”. Eppure, il suo discorso non ha dissipato i dubbi di chi, anche tra i non firmatari della mozione, chiede maggiore chiarezza. La presidente ha preferito spostare l’attenzione sui successi della pandemia – dai vaccini al programma NextGenerationEU – dipingendo un’Europa unita e solidale. Ma il racconto epico di una crisi superata “insieme” stride con le opacità emerse e con la percezione di una gestione centralizzata e poco accountable.
La fiducia nelle istituzioni europee è fragile
Non è mancato un attacco diretto all’ascesa dell’estrema destra, che von der Leyen ha accusato di essere sostenuta da “burattinai” russi e di alimentare disinformazione. Un discorso che ricalca la linea del PPE, guidata da Manfred Weber, secondo cui per battere i populisti bisogna appropriarsi dei loro temi, come l’immigrazione o la semplificazione normativa, senza però cedere a derive illiberali. Una strategia rischiosa, che potrebbe alienare le forze progressiste senza placare i critici.
Il dibattito di Strasburgo ha messo a nudo una ferita aperta: la fiducia nelle istituzioni europee è fragile, e l’atteggiamento di von der Leyen – che alterna proclami di unità a un rifiuto di rispondere alle domande più spinose – non aiuta a ricucirla. La presidente ha chiamato a raccolta le “forze pro-democrazia” per un’Europa unita, ma il suo silenzio finale e l’insistenza su una narrazione autocelebrativa lasciano un retrogusto amaro. In un momento in cui la trasparenza è cruciale per contrastare il populismo, von der Leyen sembra aver scelto la strada della difesa a oltranza, rischiando di alimentare proprio quelle divisioni che dice di voler combattere.
