La guerra dei porti si trasforma in regolamento di conti. Renato Schifani ha scelto l’arma del diritto amministrativo per scardinare la mossa di Matteo Salvini: il ricorso al Tar contro la nomina di Annalisa Tardino all’Autorità portuale occidentale siciliana diventa il pretesto per uno scontro istituzionale dalle conseguenze imprevedibili.
La strategia di Palazzo d’Orléans è glaciale nella sua precisione: niente richiesta di sospensiva, ma giudizio di merito accelerato con udienza fissata per il 13 gennaio 2026. Schifani vuole una sentenza che faccia giurisprudenza, non un armistizio temporaneo.
Il fronte governativo si spacca lungo linee di faglia prevedibili: Antonio Tajani abbraccia la causa del governatore siciliano ma non sappiamo però sè è tattica o pura convinzione; Salvini replica piazzando una fedelissima – l’ex eurodeputata leghista Tardino – in un snodo cruciale dell’economia isolana.
Ma è l’irruzione di Giorgio Mulè a trasformare la disputa in thriller politico. Il vicepresidente della Camera benedice pubblicamente la commissaria leghista, promettendo copertura parlamentare. Un endorsement che puzza di futuro: i sussurri di palazzo disegnano Mulè come erede designato di Schifani, con Salvini nelle vesti di sponsor occulto.
Il ricorso al Tar nasconde dunque una partita più grande: non solo la governance dei porti, ma il controllo futuro della Sicilia. Ogni dichiarazione, ogni mossa processuale diventa il movimento di una scacchiera dove si gioca già la successione. E dove Schifani, accerchiato, ha scelto di rispondere colpo su colpo. Di certo, la partita è appena iniziata.