“Presidenzialismo alla turca” di Erdogan inizia a prendere forma

“Presidenzialismo alla turca” di Erdogan inizia a prendere forma
24 maggio 2016
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Parlamento turco

La Turchia è sempre più vicina al “presidenzialismo alla turca” formulato dal presidente Recep Tayyip Erdogan e dal suo Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP). Il nuovo governo guidato dal premier Binali Yildirim, anch’egli fresco di nomina, è l’ultimo tassello del processo che sta portando il Paese all’abbandono del regime parlamentare. Nella direzione di un presidenzialismo dai contorni indefiniti, dove l’unico dato certo è l’autorità indiscutibile di Erdogan.

VERSO IL PRESIDENZIALISMO ALLA TURCA Si tratta di un processo iniziato nell’agosto 2014 con l’elezione di Erdogan alla presidenza della Repubblica, attarverso elezioni a suffraggio universale . Gli ultimi, rapidissimi sviluppi in questo senso si sono registrati dopo le dimissioni dell’ex premier Ahmet Davutoglu annunciate nei primi giorni di maggio. Domenica scorsa, durante il congresso straordinario del partito, in concomitanza con l’elezione di Binali Yildirim – unico candidato prescelto da Erdogan – alla leadership del partito, è stato rinnovato anche il consiglio direttivo dell’AKP, con conseguente eliminazione di diversi nomi che lavoravano a stretto contatto con Davutoglu. E oggi, con l’approvazione del nuovo gabinetto dei ministri presentato da Yildirim – tutti fedelissimi del capo di Stato – da parte di Erdogan, il ciclo risulta quasi concluso. Otto ministri del precedente esecutivo Davutoglu sono stati esclusi dal nuovo gabinetto dei ministri. Tra questi anche Volkan Bozkir, diplomatico di carriera che ha firmato il controverso accordo sui migranti con l’Unione europea. Accordo che è annoverato tra le più recenti cause dell’ampliamento delle divergenze tra Erdogan e Davutoglu. E se l’ex premier ha cercato di esercitare al massimo i poteri derivanti dalla sua posizione – e per questo divenuto inviso ad Erdogan – per Binali Yildirim l’obiettivo del governo è uno solo: “Adeguare lo status del presidente eletto a suffraggio universale alla costituzione”. A detta del nuovo premier si tratta di “un’occasione storica”.

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“REGIME PRESIDENZIALISTA” O “PRESIDENZIALISMO PARTITICO”? La “presidenza di fatto” del capo di Stato, giustificata dall’ampio sostegno elettorale ma giuridicamente infondata – dal momento che l’attuale costituzione gli attribuisce un ruolo essenzialmente rappresentativo – dovrà garantirsi prima di tutto una base legale, modificando la costituzione. L’AKP a questo scopo dovrebbe presentare in parlamento una proposta volta a emendare la costituzione per intero o solo in alcuni articoli. Come ha spiegato l’analista Serkan Demirtas, nel caso dell’introduzione di una costituzione completamente nuova, l’obiettivo sarebbe quello di ridefinire e allargare l’ambito del potere esecutivo del presidente, una premessa per il passaggio ad un sistema presidenziale a tutti gli effetti. Nell’eventualità invece di una modifica costituzionale limitata solo a determinati articoli si andrebbe a formulare il cosiddetto “presidenzialismo partitico”, dove i rapporti tra il presidente e il suo partito andrebbero ufficialmente reinstaurati. Una forma di regime presidenzialista che nelle ultime settimane viene nominato sempre più spesso dai rappresentanti dell’AKP, come il consigliere capo del presidente Seref Malkoc che recentemente ha affermato che “il ritorno al sistema parlamentare diventerà impossibile”. Per gli analisti una proposta che preveda l’associazione del presidente ad un partito politico potrebbe essere approvato più facilmente in sede parlamentare.

IL FATTORE “NAZIONALISTA” Tuttavia, allo stato attuale per approvare un emendamento alla costituzione sono necessari almeno 330 voti in parlamento. L’AKP dispone di 316 seggi e gli servono dunque almeno 14 voti in più. In questo contesto l’apporto del Partito di azione nazionalista (MHP) potrebbe essere determinante. Seppure in disaccordo su diversi punti, l’MHP e l’AKP si trovano in grande sintonia sull’utilizzo della forza nella risoluzione della questione curda. Il partito degli ultranazionalista è però attraversato da una crisi interna che rischia di far perdere a Devlet Bahceli la leadership del partito. Nelle ultime settimane la formazione è stata caratterizzata da diverse defezioni, con gli antagonisti del leader che hanno tentato di organizzare un convegno straordinario, bloccato dal tribunale. La magistratura, che secondo i più subisce la forte influenza del governo, pende come la spada di Damocle sulla testa di Bahceli, che potrebbe venire a patti con l’AKP per non perdere la poltrona, sebbene il leader continui ad affermare di essere contrario al sistema presidenzialista.

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VERSO NUOVE ELEZIONI? Un altro possibile sviluppo è legato alle conseguenze della revoca dell’immunità parlamentare di 138 deputati approvata venerdì scorso in parlamento, con 376 voti su 550. Com’è noto, la revoca interessa in particolar modo 50 parlamentari (su 59) del filocurdo Partito democratico dei popoli (HDP), accusati di attività terroristica. Secondo la costituzione bastano 28 seggi non occupati per andare ad elezioni straordinarie. Nel caso in cui si arrivi a delle condanne – un’eventualità percepita come altamente probabile – non si esclude nemmeno che l’AKP possa cercare di percorrere la strada delle consultazioni per aumentare il numero dei propri deputati.

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