Scienza e Tecnologia

Quasar esplosivo: il gigante cosmico che mangia stelle a ritmo triplo

Un team internazionale di astronomi, guidato dall’italiano Luca Ighina del Centro per l’Astrofisica Harvard & Smithsonian e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), ha scoperto un buco nero supermassiccio distante 12,8 miliardi di anni luce dalla Terra, con una massa equivalente a un miliardo di Soli e una crescita anomala che supera di 2,4 volte i limiti teorici previsti. Questa rivelazione, pubblicata oggi su The Astrophysical Journal Letters, getta nuova luce sulle origini rapide di questi mostri cosmici poco dopo il Big Bang, rispondendo a uno dei grandi enigmi dell’universo primordiale.

Il buco nero, battezzato RACS J0320-35, si nutre avidamente di materia, alimentando un quasar – un faro cosmico di luminosità tale da eclissare galassie intere. Le osservazioni condotte con il telescopio spaziale Chandra della Nasa, che ha catturato i suoi deboli segnali nei raggi X, hanno rivelato un tasso di accrescimento senza precedenti: tra 300 e 3.000 masse solari annesse ogni anno.

“È stato scioccante assistere a un buco nero che cresce a passi da gigante”, ha dichiarato Ighina, primo autore dello studio, esprimendo stupore per un fenomeno che sfida i modelli standard di evoluzione cosmica. Questa rapidità suggerisce che l’oggetto, nato probabilmente dall’implosione di una stella massiccia, abbia iniziato la sua esistenza come un seme relativamente modesto, per poi espandersi in modo esplosivo.

Contributi italiani al fronte della scoperta

La ricerca ha visto un forte coinvolgimento di istituzioni italiane: l’Inaf di Milano e Bologna, l’Università di Bologna, l’Università dell’Insubria e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Milano hanno fornito dati cruciali e analisi teoriche. “Conoscendo la massa attuale e il ritmo di crescita, possiamo risalire indietro nel tempo per stimare le dimensioni iniziali”, spiega Alberto Moretti, dell’Inaf e co-autore della ricerca. Questo approccio retrospettivo apre la porta a test rigorosi sulle teorie di formazione dei buchi neri supermassicci.

Gli scienziati sottolineano che tali oggetti, emersi solo poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, rappresentano un paradosso: come hanno accumulato masse così immense in un universo ancora giovane? La scoperta di RACS J0320-35 offre indizi preziosi, indicando meccanismi di alimentazione più efficienti del previsto, forse legati a flussi di gas primordiale o fusioni stellari accelerate.

Implicazioni per l’universo primordiale

Proiettando i dati all’indietro, i ricercatori ipotizzano che il buco nero fosse originariamente piccolo, compatibile con l’eredità di una stella collassata. “Ora possiamo validare o scartare diverse ipotesi sulla nascita di questi giganti”, aggiunge Moretti, aprendo scenari per future simulazioni e osservazioni con telescopi come il James Webb.

Questa scoperta non è solo un trionfo tecnico, ma un passo verso la comprensione di come i buchi neri abbiano plasmato la struttura cosmica, influenzando la formazione delle prime galassie e l’espansione dell’universo stesso. Mentre i dati di Chandra continuano a fluire, il team prevede ulteriori rivelazioni che potrebbero ridefinire i capitoli iniziali della storia cosmica.

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Redazione