Quirinale, lodo “i Letta”: 3 giri su Berlusconi, senza 505 voti il Cav indicherà Draghi

Quirinale, lodo “i Letta”: 3 giri su Berlusconi, senza 505 voti il Cav indicherà Draghi
Gianni Letta ed Enrico Letta
8 gennaio 2022

Lodo Letta, anzi ‘lodo Letta al quadrato’ perché frutto del gioco di sponda fra i due Letta zio e nipote, in campo durante le feste concluse dall’Epifania, per provare a guidare la roulette finora senza controllo della scelta del tredicesimo presidente della Repubblica italiana su cui fra poco più di due settimana i grandi elettori sono chiamati a votare, nel pieno del picco di quarta ondata Covid in due anni sul nostro Paese. I due Letta, secondo quanto raccontano diverse fonti del centrodestra, hanno provato a sondare su un gentleman agreement per una elezione a data certa – massimo il quinto voto – del nuovo capo dello Stato. Una sorta di lodo che starebbe incassando un discreto consenso -chi convinto, chi caldo, chi freddo e chi preoccupato- da Meloni a Bersani, passando per Salvini Conte Di Maio Guerini Franceschini Orlando Renzi Toti e Lupi. Un lodo bipartisan insomma fra le forze parlamentari che, cose più importanti di tutte. E che avrebbe ottenuto anche il consenso di Silvio Berlusconi e la benedizione di Mario Draghi.

A Berlusconi verrebbe data la possibilità di misurarsi nelle prime tre votazioni con il risultato numerico della campagna personale porta a porta condotta in queste settimane con i grandi elettori per tentare di conquistare il Colle quale candidato del centrodestra. Contrapposto a un candidato di bandiera o a schede bianche degli altri schieramenti (più difficili da controllare per il centrosinistra ma più appetitose per i franchi tiratori anti Berlusconi del suo schieramento). Se Berlusconi nei primi tre voti non arriva a quota 505 che è quanto serve per eleggere un presidente dal quarto scrutinio, sarà lui a chiedere pubblicamente al centrodestra di smettere di votarlo invitando a convergere tutti – Meloni compresa – su Mario Draghi. Per il quale 505 voti sicuri i due Letta e gli altri leader aderenti al lodo si sentono di poterli ragionevolmente garantire. In modo da garantire al Premier di dover accettare la candidatura solo quando la sua elezione è ragionevolmente bipartisan e in tasca. Cosa che invece difficilmente, fra Covid e franchi tiratori, potrebbe essere ragionevolmente assicurata per i 671 voti necessari per i primi tre scrutini.

Il lodo ‘Letta al quadrato’, se arriverà alla prova del voto dalle 15 del prossimo 24 gennaio, sconta inevitabilmente numerose incognite e altrettante insidiose variabili. La prima incognita è ovviamente l’esito del ‘batti-quorum’ che accompagnerebbe le prime tre votazioni con Berlusconi unico vero candidato in votazione. Lui si è detto convinto con diversi interlocutori di poter centrare quota 505. Mentre riconosce che 671 è per lui inarrivabile senza l’impossibile appoggio esplicito di centrosinistra e/o Cinque Stelle. Ha ricordato che è sua abitudine ‘giocare per vincere’ e che dunque la campagna sua personale e di Forza Italia proseguirà fino all’ultimo con quell’obbiettivo. Dicendosi però, almeno a parole, altresì convinto che anche raggiungere un numero di voti di Grandi Elettori per il Quirinale superiore a quello dei 192 senatori che ne decretarono a voto palese la decadenza ‘sarebbe comunque una mia personale, con piena riabilitazione pubblica del Parlamento che avrà comunque certificato di avermi espulso ingiustamente’.

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Seconda e terza incognita, discendono dalla prima. Perché nessuno mette la mano sul fuoco sulla reazione effettiva di Berlusconi in caso nei primi tre scrutini non raggiungesse quota 505. O peggio ancora non lo raggiungesse al quarto quando significherebbe elezione, dopo averlo centrato nei primi tre. La quarta incognita, pesantissima politicamente, è cosa accadrebbe al Governo e alla legislatura se invece Berlusconi al Quirinale ci riuscisse ad arrivare a colpi di maggioranza. Esclusi i voti ufficiali di Cinque Stelle e centrosinistra, sarebbe un presidente della Repubblica eletto da una maggioranza diversa e minore di quella del Governo Draghi che lui intenderebbe rimandare alle Camere. Mario Draghi e il centrosinistra, però, hanno dichiarato che con maggioranze diverse per Quirinale e Governo, l’esperienza di questo Governo e di questa larga maggioranza sono concluse. Risolvere la crisi di governo in piena quarta ondata compito non facile per il neo presidente Berlusconi, pur forte di una stragrande maggioranza di parlamentari disposta a quasi tutto pur di non andare a votare.

Le variabili, invece, dipendono, in larga parte dalle incognite di cui sopra. Riguardano per prima cosa e soprattutto nuovo Governo e durata della legislatura. Il ‘lodo Letta al quadrato’, trattandosi di schema di gentlemen agreement bipartisan, non contempla alcuna soluzione di governo per il caso di Berlusconi al Quirinale a maggioranza con la forza dei numeri. Mentre si premurerebbe di rendere al massimo pilotato l’eventuale trasferimento di Mario Draghi da palazzo Chigi al Quirinale con voto bipartisan dal quarto scrutinio (Berlusconi si è ritirato per non aver raggiunto 505 voti nei primi tre scrutini) o al quinto (Berlusconi è stato bruciato nel quarto scrutinio da franchi tiratori fermandosi sotto quota 505 dopo averla raggiunta in precedenza). In questo caso il neo presidente Draghi – o più difficilmente Mattarella negli ultimissimi giorni di mandato e in contrasto con pareri dottrina giuristi prevalente- dovrebbe affidare l’incarico a un potenziale premier indicato dal centrodestra con il consenso del centrosinistra con un mandato chiaro: replicare la maggioranza bipartisan che lo ha eletto presidente, fatta salva possibilità per l’attuale opposizione – Meloni- di chimarsene nuovamente fuori. Una soluzione che nella Lega troverebbe sponda in Giorgetti e Governatori ma molto meno in Salvini, tentato assai dal raggiungere Giorgia Meloni all’opposizione nella campagna elettorale di prossima inaugurazione.

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Un premier incaricato possibilmente donna, a segnare rinnovamento nella continuità delle larghe intese che la presidenza Draghi vorrebbe incarnare. I nomi più gettonati sono gli stessi di quelli in corsa per il Quirinale: Marta Cartabia e Letizia Moratti in primis, meno chanches per Elisabetta Casellati che per il suo ruolo di presidente del Senato richiamerebbe più una soluzione istituzionale per un governo elettorale di pochi mesi che al governo che porta la legislatura al compimento naturale come la gran parte dei parlamentari desidera e intende realizzare. Anche qui le variabili della subordinata Governo sono a loro volta molteplici e affidate in gran parte alla valutazione di Draghi. Un premier donna come Cartabia e Moratti, ad esempio, significherebbero premier tecnico non parlamentare insieme a presidente della Repubblica non parlamentare. Casellati invece no. E anche nomi di politici indicabili dal centrodestra dal gradimento bipartisan non mancano, replicando anche loro le quotazioni di candidati in pectore al Quirinale: da Pier Ferdinando Casini allo stesso Gianni Letta, per quanto anche lui mai stato parlamentare. D’altra parte è con un Letta a palazzo Chigi, il nipote Enrico, che si concluse ‘il precedente 2013’ il cui ricordo ha accompagnato in questi giorni la presentazione discreta del ‘lodo Letta al quadrato’.

Lo spirito che muove il tentativo di intesa è palese e sotto gli occhi di tutti: tentare di controllare al massimo il comportamento imprevedibile dei 1009 grandi elettori che la contingenza dettata dall’ultimo anno per molti parlamentari di prima legislatura, il cambio record di casacche che fa dei gruppi Misti la quarta forza parlamentari, il taglio di un terzo dei seggi parlamentari nella prossima legislatura. I due Letta si sono mossi con pragmatismo. Forti infatti non solo del legame familiare ma anche della comune e consolidata esperienza politica e delle robuste stesse relazioni con i leader di centrodestra centro e centrosinistra di oggi e di allora che portarono nove anni fa, in otto giorni (fra il 20 e il 28 aprile 2013) ad eleggere insieme il Capo dello Stato (bis di Giorgio Napolitano) e a formare il nuovo governo (primo e finora unico governo Letta appunto, prima volta di Pd e Forza Italia in maggioranza insieme), sbloccando l’impasse successiva alle elezioni politiche di tre mesi prima che aveva portato al fallimento del tentativo Bersani di formare il governo con i Cinque Stelle e prodotto l’impallinamento per il Quirinale dei franchi tiratori di ogni colore prima contro il candidato bipartisan Franco Marini e poi contro quello di centrosinistra Romano Prodi.

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Letta Enrico era allora il vicesegretario Pd di Bersani che ne accompagnò la non vittoria elettorale, il fallimentare pre-incarico post elezioni, il disastroso impallinamento di Marini e Prodi per il Colle, la sofferta adesione alla processione al Colle in ginocchio per ottenere il bis di Napolitano. Letta Gianni, allora come ora, era il braccio destro di Berlusconi, primo attore e regista del film che fece votare a Berlusconi in 8 giorni prima Napolitano capo dello Stato e poi Letta premier. Fra 20 giorni sapremo il finale della nuova sceneggiatura Letta 2022 , anche stavolta ambientata fra Quirinale , Montecitorio e palazzo Chigi.

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