Washington ha identificato obiettivi militari in Venezuela da colpire nella lotta al narcotraffico, tra cui porti, aeroporti e piste d’atterraggio controllate dall’esercito di Nicolás Maduro. Lo rivela il Wall Street Journal citando fonti dell’amministrazione Trump, secondo cui eventuali attacchi aerei servirebbero a inviare un messaggio inequivocabile al leader venezuelano: è tempo di dimettersi. Il presidente Trump, tuttavia, ha smentito oggi sull’Air Force One di aver già preso una decisione definitiva sugli strike, contraddicendo le anticipazioni del Miami Herald che davano gli attacchi imminenti.
Secondo responsabili statunitensi a conoscenza del dossier, l’amministrazione Trump avrebbe individuato installazioni strategiche utilizzate dalle forze armate venezuelane per facilitare il traffico di stupefacenti. Nel mirino figurano infrastrutture navali e aeroportuali, nodi cruciali della rete che movimenta tonnellate di droga verso il mercato nordamericano. “Se il presidente decidesse di procedere con operazioni aeree, Maduro riceverebbe un segnale chiaro”, hanno dichiarato le fonti al quotidiano americano. Gli Stati Uniti stanno intensificando la pressione militare nella regione, giustificando le operazioni come parte della campagna contro il narcotraffico che minaccia la sicurezza nazionale.
Di fronte all’escalation americana, il presidente venezuelano ha avviato una frenetica ricerca di sostegno internazionale. In una lettera riservata a Vladimir Putin, Maduro ha chiesto assistenza militare urgente per contrastare la crescente pressione di Washington. Lo rivelano documenti interni del governo statunitense ottenuti dal Washington Post.
Le richieste a Mosca includono la revisione dei sistemi radar difensivi, la riparazione di velivoli militari e, potenzialmente, la fornitura di missili. Ma Caracas ha bussato anche alle porte di Pechino e Teheran. In una missiva al presidente cinese Xi Jinping, Maduro ha sollecitato l’espansione della cooperazione militare bilaterale e l’accelerazione della produzione di sistemi radar da parte di aziende cinesi. All’Iran, invece, il ministro dei Trasporti Ramon Celestino Velasquez avrebbe chiesto droni con raggio operativo di circa mille chilometri, disturbatori GPS e strumenti di rilevamento passivo.
Non è chiaro come Pechino e Teheran abbiano risposto alle sollecitazioni venezuelane, ma Mosca rimane il principale alleato di Maduro. Domenica scorsa un aereo da trasporto militare russo Ilyushin Il-76 è atterrato nella capitale venezuelana dopo aver evitato accuratamente lo spazio aereo occidentale. Il giorno prima, la Russia aveva ratificato un nuovo trattato strategico con il Venezuela. Per il Cremlino, la posta in gioco è alta: tra i progetti bilaterali figura una fabbrica di munizioni Kalashnikov inaugurata a luglio e diritti di esplorazione su enormi giacimenti di gas e petrolio.
Tuttavia, osserva il Washington Post, con la guerra in Ucraina ancora in corso e le sanzioni occidentali che mordono, l’impegno russo in America latina risulta oggi più limitato rispetto al passato. La partita venezuelana si gioca dunque su più tavoli: Washington che affila le armi, Maduro che cerca disperatamente protezione, e potenze rivali degli Stati Uniti che devono calcolare quanto vale davvero sostenere un regime sempre più isolato.