Rancori e politica energetica, ecco perché Putin non tifa Clinton

Rancori e politica energetica, ecco perché Putin non tifa Clinton
7 novembre 2016

Antipatie e rancori personali, strategie sulla politica estera e energetica: tanti i motivi per i quali il presidente russo Vladimir Putin non vorrebbe vedere la candidata democratica Hillary Clinton alla Casa Bianca. Gli americani devono votare Donald Trump come presidente, altrimenti con Hillary Clinton si rischia di “essere trascinati in una guerra nucleare”. A parlare e’ il leader del partito ultranazionalista russo Ldpr, Vladimir Zhirinovsky, terza forza politica presente in parlamento. Zhirinovsky e’ da sempre noto per le sue provocazioni, ma in questo caso e’ esemplificativo di quella che e’ la posizione della Russia sulle elezioni Usa: piu’ che appoggiare il candidato repubblicano, si e’ trattato soprattutto di attaccare e screditare la democratica Clinton, la cui vittoria e’ sempre stata data come piu’ realistica che non quella dell’avversario. Alla vigilia delle parlamentari russe di settembre, il programma Vesti Nedeli (notizie della settimana), sull’emittente di Stato Rossiya, ha dedicato 8 minuti alla copertura del voto e 9 per discutere se Trump potesse essere assassinato. Tutte le testate nazionali hanno coperto in modo approfondito anche la minima rivelazione di Wikileaks sullo scandalo email e i leak dalla Democratic National Commission. La spiegazione e’ nel rapporto personale tra la candidata democratica alla Casa Bianca e il tre volte presidente russo Vladimir Putin, ma anche sui timori che nutre Mosca per le conseguenze geostrategiche di una possibile amministrazione Clinton.

LE ANTIPATIE PERSONALI Hillary e Vladimir Vladimirovich non si sono mai piaciuti, neppure quando la prima, da segretario di Stato, venne a Mosca nel 2009 con il bottone rosso del reset per ridare slancio alle relazioni tra i due paesi, provate dalla guerra lampo con la Georgia dell’anno prima. Allora al Cremlino sedeva Dmitri Medvedev, molto piu’ flessibile e dialogico con Washington che non il suo predecessore/successore. Il reset ha portato agli Usa un nuovo accordo sulla riduzione degli armamenti nucleari, l’apertura al transito dei mezzi di rifornimento americani e Nato verso l’Afghanistan e anche il sostegno alle sanzioni contro l’Iran. Ma col ritorno di Putin al Cremlino, nel 2012, i rapporti si sono di nuovo congelati. La Clinton, in campagna elettorale, si e’ detta pronta a un nuovo reset, ma solo se intuira’ di poter ottenere qualcosa in cambio da Mosca. Putin non perdona all’allora segretario di Stato Usa di essersi intromessa in un momento molto delicato per la politica interna russa: quando lui era ancora primo ministro, tra il 2011 e il 2012, migliaia di persone scesero in piazza a Mosca per settimane, denunciando brogli elettorali e chiedendo nuove elezioni parlamentari. In strada, la classe media manifestava anche per una Russia democratica, urlava “Putin ladro” e ne chiedeva l’uscita di scena. Si e’ trattato delle manifestazioni piu’ imponenti degli ultimi 15 anni. La Clinton, allora, non esito’ a dichiarare: “Il popolo russo merita elezioni libere, giuste, trasparenti”. Putin la accuso’ subito di fomentare le proteste e sostenere l’opposizione. Da allora la Clinton, sui media russi e’ diventata una russofobica guerrafondaia. Ma la democratica e’ sempre stata vissuta dalla Russia come la scelta piu’ probabile degli americani, per questo – secondo alcuni esperti – ci si sarebbe spinti fino alla presunta campagna hacker contro il partito democratico e la stessa Hillary: l’obiettivo era avvertirla subito di fino a dove Mosca potesse arrivare.

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GLI OSTACOLI STRATEGICI Ma le antipatie personali non bastano a spiegare l’avversione di Putin per la Clinton. Quello che teme la Russia sono le politiche estera ed energetica, che l’ex segretario di Stato potrebbe attuare. In Siria, un’amministrazione Clinton mirera’ a creare una no-fly zone per “alleviare i dolori dei civili e velocizzare la fine del conflitto”, scenario da sempre respinto da Mosca che e’ impegnata con la sua aviazione a fianco del regime di Damasco. Non pare, pero’, probabile che aumenti l’impegno Usa nel paese mediorientale, anche se la preoccupazione e’ quella di una posizione oltranzista che possa ripetere con la Siria la situazione gia’ creata con la Libia, conflitto che di recente il fondatore di Wikileaks Julian Assange ha dichiarato essere stata “la guerra della Clinton, il trampolino da cui realizzare i suoi sogni da presidente”. C’e’ da aspettarsi che in politica estera, Hillary si impegnera’ – a differenza di Trump – per un rafforzamento della Nato, di cui gia’ e’ in atto un rimilitarizzazione del confine orientale in Europa, cosa che sta innervosendo Mosca. Su Crimea, Ucraina e sanzioni la Clinton dovrebbe mantenere le posizioni di Barack Obama, anche se ci si aspetta che avra’ migliori rapporti con il Pentagono. Ma piu’ di ogni altra cosa, la candidata democratica potrebbe promuovere una politica energetica tutta contraria agli interessi di Mosca, che sulle entrate dall’export di gas e petrolio basa piu’ di meta’ del bilancio federale.

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Come ha rivelato Wikileaks pubblicandone alcuni discorsi, la Clinton ha definito la rivoluzione energetica Usa – dovuta a shale oil e shale gas – un “dono” da sfruttare per “esportare e sostenere diversi nostri amici e alleati”. Il riferimento e’ ai paesi, in particolar modo europei, dipendenti dalle importazioni energetiche dalla Russia. Ufficialmente non vi sono stati commenti da parte dello staff democratico a riguardo, ma non e’ difficile pensare che l’obiettivo sia quello di rendere piu’ nazioni possibili piu’ autosufficienti in campo energetico. A gennaio, gli Stati Uniti hanno aperto, per la prima volta in 40 anni, alle esportazioni di petrolio Made in Usa. Sempre quest’anno, inoltre, sono entrati nel mercato delle esportazioni di gas naturale liquefatto (Lng). Tutto questo rappresenta una sorta di bomba molotov lanciata direttamente alla fonte della ricchezza della Russia. Erodere il dominio energetico russo e’ peggio di una cyber guerra per Mosca, ha fatto notare Michael Hayden generale dell’Air Force in pensione e ed ex capo della Cia e della Nsa sotto George W. Bush. “Ci metteremo dai 5 ai 10 anni per costruire le infrastrutture che portino rifornimenti energetici ai nostri alleati ma dobbiamo farlo”, ha detto a Newsweek.

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