Quarantotto ore dopo l’esplosione devastante, che ha spazzato via quattro palazzine nel cuore di Ravanusa – e con esse le vite di sette persone, vittime accertate – il lavoro dei vigili del fuoco continua. Senza fermarsi, alla ricerca degli ultimi due dispersi. Le speranze di trovare ancora in vita Giuseppe e Calogero Carmina, di 88 e 59 anni, sono pressoché nulle ma si continua a scavare. La cronaca della seconda giornata di questo piccolo paese in provincia di Agrigento è iniziata all’alba, con il ritrovamento di quattro cadaveri, che si sono aggiunti ai primi tre, recuperati nelle ore successive al crollo. Tra loro anche i resti di Selene Pagliarello, l’infermiera al nono mese di gravidanza, che avrebbe dovuto dare alla luce tra pochi giorni il suo Samuele. A pochi metri da lei, i soccorritori hanno trovato il marito, Giuseppe Carmina, e il suocero, Angelo. Sull’identità della quarta vittima non c’è ancora certezza, ma con ogni probabilità è Carmela Scibetta, moglie del professore Pietro Carmina. Il corpo del professore è stato recuperato ieri, insieme a quello di Enza Zagarrio, la moglie di Angelo Carmina, e di Gioachina Calogera Minacori. Le quattro vittime si trovavano tutte nello stesso punto: sotto un mucchio di macerie che fino a sabato scorso era il terzo piano di uno dei palazzi crollati.
Gli unici sopravvissuti all’esplosione sono due donne: Giuseppina Montana e Rosa Carmina, estratte dalle macerie nella tarda serata di sabato. A individuarle là sotto è stata Luna, un labrador, un cane molecolare di cinque anni in dotazione ai vigili del fuoco di Palermo. Le operazioni di ricerca, hanno ribadito i soccorritori, “andranno avanti fino a quando tutte le vittime di questa tragedia non saranno state recuperate”. Successivamente si passerà alla rimozione delle macerie, per arrivare ad individuare il punto d’innesco dell’esplosione. Un’esplosione così potente che è stata percepita persino in paesi distanti diversi chilometri da Ravanusa. Un passaggio di fondamentale importanza per arrivare a ricostruire con esattezza cosa sia accaduto nel sottosuolo di quell’isolato, compreso tra le vie della Pace, via Trilussa, via delle Scuole e via Pascoli. Sarà a quel punto che i magistrati della Procura di Agrigento, che indagano per disastro e omicidio colposo, faranno un nuovo sopralluogo, utile alle indagini.
Le attenzioni maggiori sono rivolte alla conduttura del metano sottostante il paese. “Il gas si è accumulato o nel sottosuolo o in un ambiente chiuso. A innescare l’esplosione potrebbe essere stata anche l’attivazione dell’ascensore – ha detto il comandante dei vigili del fuoco di Agrigento, Giuseppe Merendino – e nei prossimi giorni faremo accertamenti più approfonditi, certo è che una esplosione così è un evento eccezionale”. Una perdita di gas che avrebbe saturato un grosso alveo che si era formato sotto le palazzine, forse per una frana nel sottosuolo. Una sorta di stanza piena di gas, sotto le fondamenta. Una bomba ad orologeria. Quale sia stato l’innesco è l’interrogativo a cui ora si deve rispondere. Che quella zona fosse pericolosa però, già si sapeva. Proprio in una perizia dello stato di sicurezza dell’area est del paese, stilato dal Comune di Ravanusa nel 2017, si definiva a “pericolosità elevata” lo stato di consolidamento del sottosuolo. Proprio in questi giorni sarebbero dovuti partire i lavori nella zona sud-est di Ravanusa per “la messa in sicurezza e per l’aumento della resilienza dei territori più esposti a rischio idrogeologico e di erosione costiera”, opere finanziate dalla Regione Siciliana per quasi 5 milioni di euro attraverso fondi comunitari.
Poi, ci sono le voci dei residenti della zona – non supportate dai carabinieri – che riferiscono di forti odori di gas percepiti nei giorni precedenti all’esplosione, e le loro segnalazioni rimaste – dicono – inascoltate. Gli investigatori al momento stanno valutando piuttosto la natura di un intervento sulla rete di metano, appena cinque giorni prima della strage, che però non avrebbe evidenziato alcuna criticità. “Sarà un’indagine che condurremo sotto il coordinamento della Procura di Agrigento con la massima scrupolosità e rapidità possibili, per garantire tutte le risposte che i cittadini si attendono”, ha spiegato il colonnello Vittorio Stingo, comandante provinciale dei carabinieri di Agrigento. Per tutto il giorno gli sfollati, gli abitanti di un’area di circa 10mila metri quadrati, sono stati accompagnati dai vigili del fuoco nelle loro abitazioni per recuperare i propri effetti personali, per affrontare questi giorni senza casa. Qualche vestito, qualche maglione pesante per proteggersi dal freddo, che in questo paese di collina, in queste sere di dicembre, si fa sentire nelle ossa.
Per far luce sulla tragedia gli investigatori analizzeranno nel dettaglio anche la relazione degli amministratori giudiziari, nominati dal tribunale di Palermo, che nel procedimento di prevenzione del 2014 passarono al setaccio la rete Italgas. Una sorta di mappatura del metanodotto, documento in cui già allora si faceva riferimento ad opere d’intervento a carattere d’urgenza necessarie per il 76% della rete della conduttura, in tutta Italia. Compresa quella agrigentina. Dal canto suo, Italgas Reti ha confermato il “proprio impegno accanto alla Magistratura e alle Autorità competenti al fine di ricostruire con esattezza la dinamica dell’accaduto. In merito alle indagini eseguite nel 2014 dagli amministratori giudiziari sulle reti di distribuzione del gas gestite da Italgas Reti – riporta l’azienda in una nota – la società fa sapere che tutte le situazioni segnalate a livello nazionale sono state analizzate con il supporto di enti esterni indipendenti – università e centri di ricerca di livello nazionale – e sono state sanate laddove necessario”. Intanto, la comunità siciliana, e non solo, ha già messo in moto la macchina della solidarietà, in aiuto alle famiglie delle vittime e agli sfollati. La diocesi di Agrigento ha dato vita a una colletta: “Mentre piangiamo le vittime, preghiamo per i feriti e per chi ha perduto affetti e case, desideriamo dare un segno concreto di prossimità”. Amici e parenti hanno ospitato chi è rimasto senza casa, nessuno andrà in albergo. Tutti si sono dati da fare, volontari della protezione civile e della Croce Rossa, squadre di psicologi, vigili del fuoco, semplici cittadini: il paese stretto in un abbraccio.