Economia

Recovery Plan Ue, il vero negoziato non lo fa l’Ecofin

Sta andando avanti piuttosto positivamente, e con crescente intensità, il negoziato sul grande Piano di rilancio economico proposto dalla Commissione europea contro le recessione causata dal Covid-19, nonostante quello che trapela dalle discussioni fra i ministri delle Finanze, la perdurante opposizione dei paesi cosiddetti “frugali” del Nord Europa (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) e quella di alcuni paesi dell’Est come Ungheria e Repubblica Ceca, nonostante le critiche alla chiave di ripartizione dei fondi che privilegia innanzitutto Italia, Spagna e Grecia, e la richiesta di Irlanda e Belgio di tenere conto anche delle conseguenze negative di una possibile Brexit senza accordo sulle relazioni future fra Ue e Regno Unito.

Lo hanno affermato fonti diplomatiche a Bruxelles, puntualizzando che le trattative, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non coinvolgono i ministri delle Finanze dell’Ecofin o dell’Eurogruppo, che dunque non fanno altro che ribadire le loro posizioni già note, che sono quelle di partenza dei diversi paesi. Ma il negoziato vero, hanno sottolineato le fonti, sta avvenendo all’interno del Coreper, il Comitato tecnico che riunisce gli ambasciatori permanenti presso l’Unione dei 27 paesi membri, e che prepara le riunioni del Consiglio Ue, per poi passare attraverso i ministri degli Affari europei e arrivare direttamente al livello politico più alto, quello dei capi di Stato e di governo. In realtà, subito dopo la presentazione della proposta, da parte della Commissione, del piano “Next Generation EU” da 750 miliardi di euro e del nuovo bilancio pluriennale 2021-2027 da 1.100 miliardi di euro, i ministri delle Finanze avevano anche cercato di appropriarsi della competenza negoziale del pacchetto; ma erano stati immediatamente delusi dalla decisione della presidenza di turno croata che gestisce attualmente l’agenda del Consiglio Ue, e da quella futura tedesca, che entrerà in funziona il primo luglio.

Le due presidenze semestrali hanno fatto valere il principio secondo cui i negoziati sul Quadro finanziario pluriennale (Qfp), sono tradizionalmente di competenza, a livello tecnico, del Consiglio Affari generali, in cui siedono i ministri degli Affari europei (e non dei ministri finanziari), mentre la conclusione politica degli accordi avviene al livello dei leader nel Consiglio europeo. E “Next Generation EU” è sostanzialmente un complemento del Qfp, a cui aggiunge programmi e risorse per i primi tre-quattro anni, e quindi va negoziato alla stessa maniera, attraverso gli stessi canali. Naturalmente, i ministri delle Finanze possono discuterne, come ne discutono i ministri del Lavoro o quelli dell’Ambiente, ma non sono loro a trattare, né a proporre e tanto meno a decidere eventuali modifiche o accordi.

Il negoziato vero, dunque, in cui vengono discusse e si affrontano le diverse posizioni degli Stati membri sta avvenendo fra gli ambasciatori permanenti, nelle riunioni del Coreper a Bruxelles che si stanno moltiplicando, al ritmo ormai di tre alla settimana. E in queste riunioni, secondo le fonti diplomatiche, non sembra affatto che ci sia uno stallo, o che le posizioni siano inconciliabili, tanto che appare plausibile che si arrivi all’accordo già a luglio, secondo l’ambizioso piano della presidenza tedesca. Un’altra questione che va chiarita è quella della posizione espressa dal ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz, secondo cui bisognerebbe ritornare al piano franco-tedesco da 500 miliardi di euro, invece di puntare ai 750 miliardi del pacchetto della Commissione. In realtà, sia il piano franco-tedesco che la proposta “Next Generation EU” prevedono esattamente la stessa cifra (500 miliardi) per le sovvenzioni cosiddette “a fondo perduto”, lo stesso meccanismo per finanziarle (emissione sul mercato di titoli di debito europei da parte della Commissione), e lo stesso canale di spesa, attraverso il bilancio comunitario.

L’unica vera differenza è la presenza, nel piano della Commissione, della riserva di 250 miliardi di prestiti diretti (da finanziare sempre con emissione di debito europeo) che potrebbero eventualmente essere concessi, se richiesti, agli Stati membri che ne avessero bisogno. Se anche, alla fine del negoziato, si arrivasse a eliminare del tutto questa possibilità, questa riserva, nulla cambierebbe nell’impianto del piano della Commissione, nei suoi meccanismi, nei suoi programmi e nelle allocazioni delle sovvenzioni. E resterebbe comunque lo strumento del Mes, il Fondo salva Stati, come possibile fonte di prestiti agevolati ai paesi che ne avessero bisogno, anche se solo per il settore sanitario (e della prevenzione in senso ampio).

Ancora più che una riserva finanziaria (da restituire, comunque) i 250 miliardi di prestiti del “Recovery Fund” della Commissione potrebbero rappresentare insomma una sorta di riserva negoziale, a cui attingere (diminuendone il volume, o magari aggiungendo qualche forma di “condizionalità”) per accontentare i paesi rigoristi, e magari anche una parte dell’opinione pubblica tedesca, senza intaccare l’architettura di “Next Generation EU”, che non dipende affatto da quei prestiti. Il negoziato continuerà ora fino al Consiglio europeo in videoconferenza del 19 giugno, che sarà sicuramente interlocutorio: l’occasione per i capi di Stato e di governo di chiarire le proprie posizioni e i nodi del negoziato nella nuova fase, possibilmente risolutiva, che dovrebbe portare al nuovo Consiglio europeo straordinario della prima metà di luglio. Un vertice che, questa volta, non sarebbe più virtuale ma dovrebbe tornare a tenersi fisicamente, a Bruxelles. askanews

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