Nonostante il miglior risultato di sempre per il centrodestra in Toscana, il candidato di Fratelli d’Italia Alessandro Tomasi è stato sconfitto da Eugenio Giani con un distacco di 13 punti: una vittoria simbolica che nasconde fratture profonde all’interno della coalizione, soprattutto nella Lega, ridotta a un quarto del consenso rispetto al 2020 e dilaniata da faide interne legate alla figura del generale Mario Vannacci.
Il voto regionale in Toscana ha consegnato al centrosinistra la riconferma di Eugenio Giani, ma ha anche acceso i riflettori sulle tensioni crescenti nel campo del centrodestra. Sebbene il 40,5% ottenuto da Tomasi rappresenti il risultato più alto mai raggiunto dalla destra in questa regione storicamente ostile, il dato è insufficiente a ribaltare il predominio del Pd e dei suoi alleati. La vera storia, però, non è nel confronto tra coalizioni, bensì all’interno dello schieramento guidato da Giorgia Meloni.
Fratelli d’Italia si impone come primo partito della coalizione con il 26,6%, quasi raddoppiando il risultato del 2020 e confermando il trend nazionale. A questo si aggiunge il 2,4% della lista civica a sostegno di Tomasi, a testimonianza di un tentativo di radicamento locale. Forza Italia tiene con il 6,2%, migliorando rispetto al passato e mostrando una certa resilienza. Ma è la Lega a far registrare il crollo più clamoroso: ferma al 4,5%, scivola al terzo posto nella coalizione, lontanissima dal 21,7% conquistato cinque anni fa con Susanna Ceccardi in corsa per la presidenza.
L’esito del voto toscano segna un punto di non ritorno per il partito di Matteo Salvini, già in affanno dopo le Europee. La scommessa su Mario Vannacci — il generale diventato simbolo di una destra “anti-sistema” — si è rivelata controproducente. Nominato coordinatore della campagna elettorale dallo stesso Salvini, Vannacci è stato al centro di aspre polemiche interne. Susanna Ceccardi, ex candidata presidente e oggi eurodeputata, lo ha accusato pubblicamente di aver gestito le liste in modo autoritario: “Il partito non è un esercizio”, aveva dichiarato con rabbia.
Fonti interne alla Lega non esitano a indicare proprio questa gestione conflittuale come una delle cause principali del tracollo elettorale. Mentre i dissidenti parlano di “autogol”, i fedelissimi di Vannacci difendono la sua figura: “Tre mesi fa eravamo sotto il 3% — ha ricordato Massimiliano Simoni, unico leghista sicuramente rieletto —. Senza di lui saremmo spariti del tutto”. Eppure, anche a destra, in molti tirano un sospiro di sollievo per la sua scarsa performance: a via della Scrofa, sede nazionale di Fratelli d’Italia, Vannacci è visto come un attore imprevedibile, troppo vicino a un elettorato nostalgico e difficile da controllare.
Il voto toscano non è solo un campanello d’allarme per la Lega, ma anche un test cruciale in vista delle prossime sfide regionali di novembre, quando Puglia, Campania e Veneto saranno chiamate alle urne. Se in Puglia la vittoria del sindaco di Bari Antonio Decaro appare scontata, e in Campania Edmondo Cirielli (FdI) cercherà di contendere la presidenza a Roberto Fico, è in Veneto che si gioca la partita più delicata per l’equilibrio interno al centrodestra.
Qui, infatti, è in atto un vero e proprio patto tra Fratelli d’Italia e Lega: Giorgia Meloni ha accettato di lasciare la candidatura a palazzo Balbi al salviniano Alberto Stefani, in cambio dell’impegno a cedere la Lombardia a FdI e di assegnare ai “suoi” assessorati chiave come Sanità e Bilancio. Ma c’è un’altra condizione, non meno importante: l’esclusione del nome di Luca Zaia dal simbolo della Lega.
Il governatore veneto, amatissimo in regione, ha reagito con stizza: “Sembrava si potesse mettere il mio nome sul simbolo della lista — ha dichiarato —. Ho visto che c’è stato un veto anche su questo a livello nazionale. Se sono un problema, vedrò di renderlo reale”. Il messaggio è chiaro: Zaia non intende farsi mettere in ombra da logiche di spartizione romane e potrebbe decidere di correre con una lista autonoma, mettendo a rischio l’unità della coalizione.
La Toscana ha mostrato che, nonostante i successi elettorali nazionali, il centrodestra fatica a tenere insieme le sue anime. Fratelli d’Italia cresce, ma la Lega vacilla; le alleanze reggono in superficie, ma sotto scorrono rivalità e ambizioni personali. Con le elezioni venete alle porte, il rischio è che le tensioni interne — alimentate da figure carismatiche ma divisorie come Vannacci o Zaia — possano minare la compattezza dello schieramento. E in un momento in cui il centrosinistra cerca di ricompattarsi, ogni crepa nel campo avversario potrebbe fare la differenza.