Politica

Renzi archivia voto a giugno, minoranza Pd prepara la resa dei conti in Direzione

“Siamo pronti a qualsiasi confronto pubblico e democratico che sia rispettoso delle regole e dello Statuto interno”. La parola congresso non la nomina mai, e la frase è volutamente interlocutoria. Da un lato, nella sua e-news, Matteo Renzi si dice appunto pronto a “qualsiasi confronto”, dall’altro precisa che le regole e lo statuto dem vanno rispettati. E allora? “E’ la presa d’atto che il percorso verso il voto a giugno è sempre più tortuoso”, ragiona qualche parlamentare Dem. Ma tra i fedelissimi del segretario una risposta non c’è. Solo una certezza: che la Direzione convocata per il 13 febbraio diventerà il luogo in cui tutti i leader di partito dovranno scoprire le carte. “Ho chiesto alla presidenza del partito di allargare gli inviti anche a tutti i parlamentari e tutti i segretari provinciali. Almeno ci parliamo chiaramente, in faccia, di tutto. Rigorosamente in streaming”, scrive Renzi.

RENZI NON SI FIDA Di sicuro, un cambio di strategia Renzi lo ha deciso: basta essere quello del voto a giugno a tutti i costi. “Nessuno si ammazza se si voterà a febbraio”, dicono adesso i suoi. Il punto è “chi farà la prossima legge di stabilità, appuntamento decisivo: un governo legittimato dal voto, o questo governo figlio di un Parlamento che già viene accusato di non essere in grado di fare nulla?”. La preferenza resta chiara, ma senza diktat. Anche perché il problema è trovare l’accordo su tutto: “L’accordo sulla legge elettorale si trova se si trova l’accordo su quando votare”, dicono i renziani. Tradotto, ok al premio di coalizione se si voterà a giugno. Il fatto è che Renzi “non sa quanto può fidarsi di un passaggio parlamentare, non sa quanto possa contare su Mattarella e ancora non ci sono le motivazioni della sentenza della Consulta”. Se l’armonizzazione tra Camera e Senato fosse caldamente raccomandata dalla Corte, l’apertura obbligata di un percorso parlamentare nasconderebbe insidie continue per il segretario Dem.

L’INCONTRO Stesso discorso per il congresso: la minoranza lo invoca per evitare la scissione. Ma il dubbio affacciato dai renziani è: “Siamo sicuri che se facciamo il congresso e lo perdono, poi restano dentro?”. La conseguenza della ricostruzione che Renzi fa nella sua e-news: “Dopo il referendum di dicembre, proponiamo il congresso. Ci viene detto di no, e noi accettiamo. Venti giorni dopo, colpo di scena, ci viene chiesto di fare primarie per ‘rendere contendibile la linea del partito’, altrimenti sarà scissione. Accettiamo anche le primarie. Quando diciamo di sì, ci viene comunicato – rigorosamente via interviste e via talk-show – che non bastano neanche le primarie”. Un clima che probabilmente consiglierà a Renzi di non affacciarsi alla riunione dei deputati Dem di mercoledì. Ecco perché chi nel partito cerca la mediazione vede una sola possibile via d’uscita. “Un chiarimento tra Renzi e Bersani, la definizione di un percorso che poi sia sancito dalla Direzione”. Ma un incontro tra i due ancora non sarebbe in calendario. Anzi, dal Pd smentiscono ufficialmente anche che oggi il segretario possa incontrare Dario Franceschini.

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