Renzi meglio della vecchia Dc

Partito democratico 40,8%. Un plebiscito per il presidente del Consiglio e segretario dei Dem Matteo Renzo. Un dato storico soprattutto se confrontato con il distacco abissale imposto al MoVimento 5 Stelle – che retrocede, e di molto, rispetto alle politiche dello scorso anno – e con il crollo nei consensi di Forza Italia. Renzi issa il Pd lassù dove nessuno è mai arrivato: il Pci di Berlinguer arrivò al 34%, la Dc non superò mai il 37. E qualche ex democristiano ora nelle fila democratiche lo confessa senza problemi: “Abbiamo superato anche la Balena Bianca”. Restano fuori quota il 48,51% di De Gasperi nel 1948 e il 42,35 di Fanfani nel 1958. Il giorno del giudizio, quello elettorale – il primo da quando è segretario del Pd e, soprattutto, presidente del Consiglio – Matteo Renzi lo passa in famiglia nella sua Pontassieve. Sveglia e colazione, prima di recarsi, intorno alle 11.30, al proprio seggio elettorale per votare. Il presidente del Consiglio si presenta alla scuola De Amicis di Pontassieve accompagnato dalla moglie Agnese. Jeans e camicia bianca, Renzi va in sezione indossando un look sportivo, come la consorte, vestita di un abito bianco senza maniche. Il primo caldo si fa sentire anche in Toscana. Subito dopo aver votato, il premier si reca come di consuetudine alla Messa domenicale, prima di ritentrare in casa per il pranzo in famiglia assieme ai tre figli. “È molto tranquillo”, riferiscono i suoi più stretti collaboratori, con il quale Renzi resta in contatto ma non in maniera spasmodica. Poche telefonate, soprattutto sms. In serata il rientro a Roma, dove Renzi segue gli scrutini a Palazzo Chigi.

La notte dello spoglio per il premier è da consegnare agli annali. Una notte romana bagnata da una pioggerellina che più dolce non potrebbe essere. Al Nazareno si esulta. Nella sede del partito è riunito lo stato maggiore del Pd, tra questi Luca Lotti, Lorenzo Guerini, Debora Serracchiani, Stefano Bonaccini, Guglielmo Epifani e Matteo Orfini. “È un risultato importante e straordinario che ci dà grandi responsabilità nel completare il sistema di riforme impostato e nel cambiamento europeo che riguarda il tema della crescita”, commenta la Serracchiani che parla di risultato “importante rispetto all’esito delle europee del 2009 e delle politiche 2013. Un risultato che premia il lavoro del governo e che auspichiamo rappresenti quella necessità di cambiare il Paese, rinnovare e fare riforme che siamo riusciti a far comprendere al Paese”. La Serracchiani ricorda che con questo risultato il Pd diventa “il primo partito progressista d’Europa” e, tra le forze di governo dei Paesi membri, “teniamo solo noi e il partito di Angela Merkel”, anche se “complessivamente c’è un arretramento europeo del Ppe e un aumento socialista e democratico. Siamo il primo partito nel campo di socialisti e democratici”.

“Questa è la vittoria del Pd e soprattutto di Matteo Renzi, del cambiamento che ha voluto imprimere al Parlamento e al Paese. Ha vinto la speranza, è un grande messaggio politico che arriva da tutta l’Italia – è la sintesi del vicesegretario Pd Lorenzo Guerini – Per noi è un risultato straordinario, storico che conferma la bontà del progetto di Matteo Renzi, abbiamo intercettato voti in uscita da Forza Italia, siamo il primo partito della sinistra europea”. Rispetto alla vigilia del voto, Guerini confessa che “nessuno immaginava un risultato di questo tipo, al di là delle nostre più rosee aspettative. È un grande incoraggiamento rispetto all’azione che abbiamo intrapreso. La conseguenza ora è continuare a governare”. Già governare. Adesso Renzi è davanti a un bivio: da una parte la tentazione di strappare, andare al voto politico anticipato e capitalizzare il risultato delle europee; dall’altro, potendo contare proprio sul plebiscito del voto di ieri, può davvero prendere le redini dei gruppi parlamentari Dem e approfittare della debolezza degli alleati per andare avanti davvero fino al 2018.

Di certo gli italiani hanno concesso un ampio credito al premier, perdonandogli il gioco di palazzo con cui ha sfrattato Enrico Letta dalla presidenza del Consiglio. A pagare è stata anche una campagna elettorale improntata sulla fiducia, sulla speranza, corroborata magari da quegli 80 euro in busta paga che hanno fatto discutere ma che tanti italiani hanno dimostrato di gradire. Renzi aveva bisogno di un successo alle europee per legittimare la propria premiership e il governo per imprimere un’accelerazione alle riforme. Il successo elettorale consegna il Pd totalmente nelle mani del premier che è riuscito a vincere due referendum in un colpo solo: quello sul governo e quello interno al Nazareno. (Il Tempo)

 

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