Renzi verso annuncio dimissioni, minoranza fa muro. Guerini: “Superato livello di guardia”

Renzi verso annuncio dimissioni, minoranza fa muro. Guerini: “Superato livello di guardia”
Lorenzo Guerini, deputato del Partito Democratico
13 febbraio 2017

Fino all’ultimo si proverà a mediare, le frange più dubbiose della maggioranza renziana – a cominciare da Dario Franceschini e Andrea Orlando – tenteranno nelle ultime ore di indurre il segretario a presentare un percorso meno ‘hard’ in direzione, ma i segnali che arrivano dai fedelissimi sembrano confermare che oggi l’ex premier non cercherà compromessi e metterà sul tavolo le proprie dimissioni. La fronda anti-Renzi, riunita proprio a Firenze da Francesco Laforgia, alza un muro davanti all’ipotesi di un congresso-lampo: Michele Emiliano ironizza sul congresso “col rito abbreviato” e Enrico Rossi chiede una “segreteria di garanzia”. Attacchi che innervosiscono Renzi, tanto che viene affidato a Lorenzo Guerini, solitamente nei panni del mediatore, il compito di una risposta dura.

I TEMPI Nel Pd, dice il numero due di Renzi, si sta superando il “livello di guardia”, bisogna smetterla con la “tattica del logoramento”. Basta con il braccio di ferro, “ogni giorno un se o un ma. Ogni giorno si pone una condizione. Vorrei essere chiaro: domani si terrà una direzione del Partito democratico in cui il segretario dirà in modo chiaro la prospettiva che intende proporre al partito e al Paese. Da lì, dalla proposta che verrà avanzata ognuno, mi auguro, assumerà responsabilmente una posizione chiara”. Qualcuno, anche nella maggioranza renziana, spera che quella prospettiva preveda sì un congresso, ma non in un paio di mesi. Francesco Boccia, schierato con Emiliano, avverte: “Abbiamo il dovere di dirci cosa non ha funzionato e non ci possono bastare 2-3 settimane”. Ma a rispondere, più volte, è anche Matteo Orfini, sostenitore della linea dell’accelerazione: “Il nostro congresso coinvolge (da sempre) decine di migliaia di iscritti e milioni di elettori. Definirlo una farsa offende soprattutto loro”. I tempi saranno quelli previsti dalle “regole dello statuto”. Peraltro, aggiunge, “se si chiede il congresso si chiede il congresso, non una segreteria di garanzia. Se si fa il congresso avremo un segretario scelto dai nostri iscritti e dai nostri elettori. Ed è proprio questa la migliore garanzia”.

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LE DIMISSIONI Parole che non lasciano spazio a molti margini. Un altro renziano, a microfoni spenti, aggiunge: “Non faremo certo un congresso più breve di quello che gestì Epifani nel 2013”. Allora da quando la direzione approvò il regolamento congressuale al giorno delle primarie passarono circa due mesi e mezzo. Proprio il tempo che corre da fine febbraio ai primi di maggio, quando appunto potrebbero tenersi le primarie per eleggere il nuovo segretario. La minoranza bersaniana obietta che il paragone non tiene, perché allora “la commissione congresso venne insediata già a giugno e approvò subito l’anagrafe degli iscritti, cosa di cui non c’è traccia”. Ma queste, per i renziani, sono “obiezioni strumentali” e “non è tollerabile che la minoranza ogni volta dica ‘o fate come diciamo noi, o facciamo la scissione'”. Se non ci saranno cambi di rotta dell’ultimo minuto, Renzi oggi ribadirà le sue idee: il Paese è in emergenza, ha bisogno di un governo legittimato dalle urne, sarebbe meglio andare a votare al più presto con una nuova legge elettorale, ma se non sarà possibile il Pd deve almeno fare subito il congresso per affrontare con maggior forza i prossimi appuntamenti. Dunque, il segretario potrebbe sospendere la direzione, rimettere il mandato e convocare l’assemblea già per il prossimo fine settimana dove le dimissioni verrebbero formalizzate e la fase congressuale sarebbe aperta ufficialmente.

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