Praga volta pagina. Andrej Babis, il miliardario populista ribattezzato il “Trump ceco”, riconquista il potere con una vittoria netta che ridisegna la mappa politica della Repubblica ceca. Il suo movimento Ano (“Azione dei cittadini scontenti”) ha ottenuto quasi il 35% dei consensi, staccando di oltre dodici punti l’alleanza di centro-destra Spolu del premier uscente Petr Fiala, ferma al 23%.
I dati, diffusi dall’Ufficio statistico dopo lo spoglio del 99% delle circoscrizioni, certificano un risultato che avrà ripercussioni ben oltre i confini nazionali. È una disfatta per la coalizione filo-occidentale che nel 2021 aveva interrotto il regno di Babis, relegandolo all’opposizione. Ora i ruoli si invertono.
I liberali di Stan hanno raccolto appena l’11%, confermando la frammentazione del campo progressista. Il trionfo dell’ex premier segna il ritorno di un leader controverso, capace di intercettare il malcontento popolare con una retorica anti-establishment e promesse di cambiamento radicale.
La domanda che ora si pone è semplice ma cruciale: con chi governerà Babis? Per formare un esecutivo stabile, il leader di Ano dovrà negoziare alleanze con i partiti minori. Le scelte che farà nei prossimi giorni riveleranno il vero volto della sua nuova maggioranza e la direzione che intende imprimere al Paese.
Il successo elettorale di Babis sposta l’asse geopolitico della Repubblica ceca. Gli analisti concordano: Praga si allontanerà dal sostegno incondizionato all’Ucraina per avvicinarsi alle posizioni di Ungheria e Slovacchia, entrambe orientate verso politiche più dialoganti con Mosca. Non è un caso che lo scorso anno Babis abbia fondato insieme a Viktor Orban il gruppo “Patrioti per l’Europa” al Parlamento europeo, un’alleanza sovranista che ora può contare su un nuovo alleato nell’Europa centro-orientale.
Petr Kaniok, politologo dell’Università Masaryk di Brno, non nasconde le preoccupazioni. La futura governance di Babis potrebbe ispirarsi al modello illiberale ungherese o alla linea del premier slovacco Robert Fico. “Il movimento Ano è molto flessibile. E proprio grazie a questa flessibilità può cambiare posizione”, spiega Kaniok. “Abbiamo visto che Babis stesso non ha problemi a contraddire qualcosa che ha detto in precedenza o addirittura approvato”.
Gli esperti prevedono una svolta euro scettica, con una probabile riduzione degli aiuti militari a Kiev. Tuttavia, a differenza di quanto paventato dai suoi critici, una “Czexit” dalle organizzazioni multilaterali appare improbabile. Babis è un pragmatico, non un idealista: sa che l’uscita dall’Unione Europea o dalla NATO danneggerebbe gravemente l’economia ceca.
Il segreto del successo di Babis risiede nelle ex roccaforti industriali del Paese. Magnate dell’agricoltura e imprenditore miliardario, il leader di Ano ha costruito il suo consenso nelle aree che un tempo votavano compatte per i comunisti cecoslovacchi e, dopo la Rivoluzione di velluto del 1989, per i socialdemocratici. Negli ultimi anni, queste comunità hanno progressivamente abbandonato la sinistra tradizionale per abbracciare il populismo di Babis.
È uno schema che ricorda da vicino l’ascesa di Donald Trump negli Stati Uniti: stesso appeal nelle zone deindustrializzate, stessa retorica contro le élite, stesso rifiuto del politicamente corretto. La differenza è che Babis, a differenza di Trump, ha già governato e conosce i meccanismi del potere. Il suo partito è un contenitore ideologico fluido, descritto volta per volta come di sinistra o populista, tecnocratico o conservatore, a seconda delle convenienze del momento.
Da Roma arriva il plauso di Matteo Salvini, che vede nella vittoria di Babis una conferma dell’avanzata sovranista in Europa. “Il nostro amico Andrej Babis, alleato della Lega in Ue, vince le elezioni in Repubblica Ceca, sbaraglia le sinistre (ai minimi storici!) e si prepara a guidare un governo che metterà al centro il contrasto all’immigrazione clandestina, il no alla guerra e lo stop alle folli scelte di Bruxelles”, ha scritto il leader leghista sul suo profilo X.
Le parole di Salvini sottolineano la dimensione transnazionale del fenomeno. La vittoria ceca si inserisce in un quadro più ampio di affermazione dei movimenti sovranisti e nazionalisti in Europa, dall’Ungheria di Orban alla Slovacchia di Fico, passando per l’Italia della Lega. Babis diventa così un nuovo tassello di questa rete politica che sfida l’ortodossia europeista e rivendica il primato degli interessi nazionali. Ora l’attenzione si sposta sulla formazione del governo. Le prossime settimane saranno decisive per capire se il “Trump ceco” manterrà le promesse elettorali o se, come in passato, adatterà la sua linea alle necessità della realpolitik.