Cronaca

Riforme nell’annus horribilis delle toghe. Cartabia: ora attuiamole

“E’ bello oggi stare qui con voi nella giornata in cui è stata posta la firma con il disegno di legge delega in materia penale che è un traguardo tanto indispensabile quanto arduo da conseguire”. La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, è andata in presenza al congresso dell’Unione delle Camere penali. “Percepisco il fermento che c’è nel mondo della giustizia italiana” e “un desiderio operosissimo di fare”, ha commentato. I penalisti hanno contraccambiato con una calorosa accoglienza l’arrivo e il discorso della ministra interrompendola un paio di volte con gli applausi. La politica è fatta anche di gesti e di segnali e quello che è avvenuto oggi non è una eccezione.

Poco prima, intervenendo da remoto al congresso dei magistrati di Area, la titolare del ministero aveva usato parole meno accorate quando a proposito delle riforme aveva detto – e senza troppi giri di parole – che non si potrà “confidare in un loro effetto taumaturgico” e che per recuperare la fiducia dei cittadini nella magistratura “logorata” dalle vicende giudiziaria che non hanno risparmiato nemmeno il Consiglio superiore della magistratura occorrerà un “lavoro goccia a goccia in cui ognuno porta il suo fardello”. Insomma, oggi gli spartiti suonati dalla ministra sono stati due e con empatie diverse.

La ministra ha spiegato ai penalisti quanto si è battuta in questi mesi per poter avere l’expertise dell’avvocatura sul tema delle riforme portando esperti di diritto penale al ministero di via Arenula dove da sempre prevalgono, almeno in termini di presenza, in termini di presenza i magistrati fuori ruolo. E ai penalisti ha chiesto di vigilare e di segnalare ogni disfunzione nella fase di attuazione delle riforme affinché il cambiamento non si inceppi.

Una fase mediaticamente ‘nera’ per la magistratura in un anno che si può definire orribile per gli effetti che le vicende Palamara e Amara hanno avuto sull’immagine e la credibilità della magistratura italiana. Come se non bastasse ieri si è aggiunta la sentenza di Palermo che di fatto ha azzerato l’impianto accusatorio e oltre dieci anni di anni di processi sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Se fosse possibile un paragone in termini calcistici in una ipotetica partita di calcio tra magistrati e avvocati il passivo, per i primi, sarebbe pesantissimo. E altrettanti sarebbero i cocci da raccogliere per rimettere in piedi una fiducia ‘scassata’ dai risultati.

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