Rimini, 3 minorenni stranieri gli autori del duplice stupro. Caccia al “capo” branco

Rimini, 3 minorenni stranieri gli autori del duplice stupro. Caccia al “capo” branco
3 settembre 2017

A una settimana dalla violenza inaudita consumata la notte del 26 agosto sulla spiaggia di Miramare e lungo una strada statale di Rimini che porta a Riccione, una svolta nell’inchiesta condotta dalla squadra Mobile del capoluogo romagnolo. Sette giorni sono serviti a due ragazzi adolescenti di origine marocchina per scappare dal luogo del delitto; sette giorni per tornare nel proprio paese di residenza, a Vallefoglia nel pesarese; sette giorni per capire che non avrebbero potuto sopportare per troppo tempo la “pressione mediatica e della polizia”; sette giorni per presentarsi alla caserma dei carabinieri di Montecchio di Pesaro e ammettere le proprie responsabilità: “Siamo stati noi a picchiare il polacco e a violentare la ragazza e poi la trans. C’era anche un altro africano”. Poche ore dopo la confessione, gli agenti di polizia avevano già fermato e portato in questura il terzo componente del branco, un altro giovane, anch’egli di orgine africana. I tre minorenni sono stati interrogati dal pm Stefano Celli e dal collega del Tribunale dei minori di Bologna. All’appello manca ancora il “capo” del gruppo, perché maggiorenne (si parla di un 20enne) quello che a pochi passi dalla spiaggia ha abbordato con una scusa i due turisti polacchi (“Da dove venite?”), prima di arrivare alle minacce (“Dateci i soldi e il cellulare”) e all’ordine di pestare a sangue l’uomo e stuprare più e più volte la ragazza.

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Sempre lui che, un’ora più tardi, ha trascinato i suoi complici verso la statale per strattonare, picchiare e anche qui violentare una transessuale peruviana. “Siamo sulle sue tracce, lasciateci ancora lavorare” fanno sapere gli uomini che seguono le indagini. Potrebbe essere d’origine nigeriana o congolese, poco più grande degli altri del gruppo. Per tutta la settimana a Rimini le forze dell’ordine hanno battuto a tappeto le spiagge e le abitazioni dei quartieri periferici, alcune “abbandonate di corsa”, come se qualcuno avesse avvertito il pericolo. Tanti gli indizi: le impronte (anche se parziali) lasciate su alcune bottiglie di birra e ritrovate in spiaggia; le tracce di Dna sul corpo della ragazza polacca e della trans peruviana; decine di frammenti di video ritagliati dalle registrazioni delle telecamere di sorveglianza, quelle installate dal Comune sulla pista ciclabile, quelle degli alberghi circostanti, quelle delle banche. Immagini che il procuratore capo Paolo Giovagnoli e il questore Maurizio Improta non avrebbero voluto diffondere per non generare falsi allarmi, ma che forse sono state determinanti per convincere i due diciassettenni a confessare. In serata è stata accompagnata in questura la transessuale vittima delle violenze del 26 agosto, lei che per prima ha riconosciuto i violentatori dalle immagini mostrate dalla polizia, lei che ha riconosciuto la lingua e l’inflessione dei suoi quattro aguzzini. I due giovani turisti polacchi, invece, hanno lasciato Rimini e l’Italia tra venerdì e sabato notte, dopo le cure e il ricovero all’ospedale cittadini.

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