Consiglio europeo
Bruxelles dice sì alla stretta sui migranti irregolari. Il Consiglio Ue Affari Interni ha approvato il nuovo regolamento che semplifica e accelera le procedure di rimpatrio e consente agli Stati membri di istituire centri di accoglienza in Paesi terzi. Spagna, Francia, Grecia e Portogallo hanno votato contro, ma la maggioranza qualificata è stata raggiunta. Una svolta che ridisegna la gestione dei flussi migratori nel continente.
La decisione arriva in un momento particolare: gli arrivi irregolari sono in calo, ma il tema domina l’agenda politica europea. Il Consiglio ha modificato il regolamento Ue 2024/1348 per quanto riguarda l’applicazione del concetto di “paese terzo sicuro”, strumento che permette di respingere una domanda di asilo senza esaminarne il merito quando il richiedente avrebbe potuto ottenere protezione internazionale altrove. Parallelamente è stato approvato anche il regolamento che istituisce un elenco di paesi di origine sicuri valido per tutta l’Unione.
“Disponiamo ora del quadro giuridico affinché gli Stati membri possano creare centri di accoglienza con i paesi terzi”, ha dichiarato il ministro danese per l’immigrazione Rasmus Stoklund, a nome della presidenza di turno. “È estremamente importante per modificare le carenze fondamentali dell’attuale sistema di asilo, che da molti anni riteniamo non funzionante, aiutando le persone sbagliate e non chi ne ha davvero bisogno”. Parole nette che riassumono la filosofia della riforma: controllo dei flussi e selezione più rigorosa.
Il commissario europeo austriaco Magnus Brunner, artefice della stretta, ha spiegato giovedì scorso che l’obiettivo è “dare ai cittadini la sensazione che la situazione sia sotto controllo”. Un’ammissione rara e significativa: la priorità non è tanto l’efficacia delle misure quanto la percezione pubblica. Il dibattito politico insegue le pressioni dei partiti conservatori e di estrema destra più che misurare l’impatto concreto delle scelte. La sinistra e le associazioni per i diritti dei migranti sono insorte.
“Invece di investire nella sicurezza, nella protezione e nell’inclusione, l’UE sceglie politiche che getteranno un numero maggiore di persone nel pericolo e nell’incertezza giuridica”, avverte Silvia Carta di Picum, organizzazione che tutela i migranti privi di documenti. Il pacchetto prevede tre interventi principali: procedure di rimpatrio molto più rapide, periodi di detenzione più lunghi per chi ha ricevuto un diniego, possibilità di aprire centri in Paesi terzi dove trasferire le persone respinte. Si aggiunge un nuovo Ordine di Rimpatrio Europeo che rende automatico il riconoscimento delle decisioni tra Stati membri e un fondo di solidarietà per sostenere i Paesi più esposti agli arrivi. La riforma punta su standardizzazione e rapidità, elementi che Bruxelles considera prioritari da anni.
Non tutti sono convinti. Francia e Spagna hanno espresso dubbi giuridici e pratici, soprattutto sui centri in Paesi terzi. Le esperienze precedenti mostrano che creare strutture fuori dall’Unione è più complicato del previsto. L’accordo Italia-Albania ne è l’esempio più recente e discusso. Il caso è stato rinviato alla Corte di Giustizia Europea con due richieste pregiudiziali presentate dai giudici italiani. La Corte ha rifiutato la procedura d’urgenza: i tempi possono richiedere fino a due anni per una decisione definitiva.
La Corte di Giustizia aveva stabilito che non basta un decreto-legge di uno Stato membro per considerare un Paese terzo “sicuro” e trasferire lì migranti o richiedenti asilo. Quella designazione deve poter essere contestata con un effettivo controllo giurisdizionale. Nel caso esaminato, relativo ai migranti soccorsi in mare e trasferiti in centri di detenzione in Albania sulla base di accordi con lo Stato italiano, la Corte ha dichiarato che la normativa italiana non rispettava le garanzie previste dal diritto comunitario.
La sicurezza deve essere valutata caso per caso, fino a quando non entrerà in vigore un regolamento Ue chiaro sugli hub di rimpatrio. In sostanza la Corte ha bocciato la modalità con cui alcuni governi avevano inteso utilizzare centri in paesi terzi, ribadendo che la tutela dei diritti fondamentali e il controllo giudiziario devono sempre essere garantiti.
Il nuovo pacchetto ha ottenuto il via libera anche grazie all’alleanza tra destre e estrema destra nel Parlamento europeo. Il fatto è significativo: il baricentro politico della discussione sull’immigrazione si è spostato e proposte che un tempo sarebbero state considerate marginali sono diventate mainstream. La Danimarca, che guida il Consiglio dell’Ue nel semestre in corso, è da anni uno dei Paesi più attivi nel promuovere un approccio restrittivo. Diversi governi sembrano più preoccupati di mostrare fermezza che di verificare se queste misure siano davvero funzionali alla gestione dei flussi.
Al Consiglio Affari Interni è stato raggiunto anche l’accordo politico sul fondo di solidarietà nel quadro dell’attuazione del Patto sulla Migrazione e l’Asilo, per gestire l’equilibrio fra solidarietà e responsabilità sull’afflusso dei migranti in Europa. Il prossimo passaggio riguarda il meccanismo di ricollocazione dei richiedenti asilo. Il sistema prevede che ogni Paese dell’Ue debba accogliere una quota o, in alternativa, versare ventimila euro per ogni persona non ricollocata. Una soluzione pensata per alleggerire Paesi come Italia e Grecia, ma che rischia di trasformarsi nell’ennesima compensazione economica al posto di una vera condivisione delle responsabilità.
Diversi governi hanno già dichiarato che pagheranno piuttosto che accogliere. Questo mostra quanto il principio di solidarietà, che dovrebbe essere uno dei pilastri del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, sia ancora fragile. Il dibattito europeo continua a concentrarsi soprattutto su come respingere, rimandare indietro, scoraggiare. Molto meno spazio viene dedicato a ciò che renderebbe la gestione dei flussi più ordinata e prevedibile: canali legali d’ingresso, investimenti sulle strutture di accoglienza, cooperazione reale con i Paesi d’origine.
Il nuovo pacchetto può rendere alcune procedure più uniformi e veloci, ma difficilmente risolverà i problemi strutturali che da anni rendono inefficace la politica migratoria europea. È una riforma pensata per rispondere a un clima politico, non per costruire una strategia duratura. Ora l’ultima parola spetta al Parlamento europeo, che dovrà decidere se confermare il cambio di rotta voluto dalla destra europea. La partita è aperta e il futuro della gestione dei flussi migratori nel continente passa da questa scelta.