Roma, “via soft” Raggi su sgomberi a prova di realtà e piazza

Roma, “via soft” Raggi su sgomberi a prova di realtà e piazza
Il sindaco di Roma, Virginia Raggi
3 ottobre 2018

Roma si prepara a un autunno caldo per il diritto all’abitare: da un lato c’è il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che preme dal luglio scorso perché le situazioni considerate a rischio sanitario e strutturale vengano affrontate al più presto sotto il coordinamento della Prefettura, come fatto stamattina con lo sgombero degli ex ospiti del centro d’accoglienza di via Scorticabove; dall’altra sindacati, movimenti e partiti della sinistra storica – dall’Arci alla Cgil, dai Blocchi precari metropolitani all’Usb, a Rifondazione, Sinistra Italiana e Potere al popolo – che rilanciano la “legittima difesa” a “non uscire dalle occupazioni” e a resistere fino a che non venga garantita una vera alternativa. Convocano così per il pomeriggio del 10 ottobre dalle ore 16 un presidio sotto la sede della Prefettura, così come avverrà in diverse città italiane, e sabato 13 ottobre un corteo dalle ore 15 con partenza da piazza Vittorio.

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In mezzo c’è la Giunta Raggi: che sceglie negli atti una “linea soft”, cercando di garantire, oltre all’assistenza di emergenza in permanente crisi di posti, un percorso di medio periodo per i cosiddetti “fragili”. Restano fuori, però, da questi strumenti, tutte le famiglie e i singoli poveri ma non in emergenza, che hanno come unica alternativa le lunghe liste d’attesa delle case popolari. Al momento, inoltre, come ha spiegato la stessa assessora capitolina al sociale Laura Baldassarre ad Askanews, “il Comune è pronto a sperimentare l’assistenza e accompagnamento post sgomberi per le persone fragili”, il cosiddetto Sassat 2 ma ha bisogno che la Regione “faccia la sua parte come richiede la legge”: insomma c’è bisogno, da parte della Pisana, di “un supporto, visto che il Comune non è in grado di dare una risposta a tutti”.

La realtà ci restituisce, dunque, un quadro preoccupante. Se il Comitato metropolitano per l’ordine e la sicurezza ha condiviso con la Giunta Raggi la lista dei prossimi sgomberi – che vanno del palazzo di Bankitalia a via Carlo Felice, dal quale partirebbe la sperimentazione del nuovo sistema d’assistenza, dalla ex fabbrica della Penicellina a via Tiburtina, al palazzo ex Inps di via Tuscolana, senza contare i singoli sfratti esecutivi che il dipartimento Patrimonio sta eseguendo a carico di inquilini poveri senza titolo, non in regola coi pagamenti, oppure non capaci di pagare gli affitti in rialzo per le case popolari del centro della città – la maggior parte delle persone sgomberate finora è finita in strada. “Vivono in accampamenti improvvisati, come buona parte dei rom sgomberati dall’ex Camping River, sono temporaneamente accolti da parenti o da altre case occupate, come gli sgomberati dal palazzo di via Curtatone. E anche per quelli che avevano accettato l’assistenza temporanea del Comune, scaduti i sei mesi di copertura, l’alternativa è stata tra strada e casa occupata”, ci spiegano dai Blocchi precari metropolitani.

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Se il Comune, come nell’operazione di questa mattina a via Scorticabove e in decine di interventi che quotidianamente opera con Ama e vigili, fatica a star dietro a quelle che asetticamente definisce “bonifiche” e in realtà sono piccoli sgomberi di micro-campi di disperati, l’immagine che restituisce non è risolutiva: “è disumano e non conforme al principio del rispetto delle persone – è stata la valutazione dello sgombero dell’ex Camping River data da monsignor Enrico Feroci -. I bambini guardavano le loro case distrutte e se non fossero rom avrebbero già attivato gli psicologici e i medici”. E oggi Federica Borlizzi, portavoce dell’associazione Alterego vicina ai rifugiati di via Scorticabove, ha definito “lo sgombero il 3 ottobre, giornata dedicata alle vittime dell’immigrazione, un comportamento indegno. Avevamo un progetto sostenuto da architetti e professori universitari, con il parere positivo dell’avvocatura di stato, ma l’amministrazione non ne ha tenuto conto”.

La vera stagione degli sgomberi a Roma, con oltre 30 interventi, senza alternative di assistenza offerte agli occupanti di baraccopoli, case e spazi sociali, a Roma l’ha riaperta nel 2013 il sindaco Ignazio Marino nel nome del ripristino della legalità. La maggior parte fu a carico di campi rom informali e gli attirarono richiami di Unhcr e Amnesty international “per violazioni ripetute dei diritti garantiti dalle Nazioni Unite”, e di spazi sociali come Scup. L’apice si toccò con lo sgombero di una baraccopoli da 200 rifugiati a Ponte Mammolo, con ruspe, che scatenò una reazione di solidarietà diffusa nei confronti degli sfollati, ma anche di avversione, che diede vita al Baobab experience che ancora oggi assiste i transitanti vicino alla stazione Tiburtina.

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Dopo gli anni Settanta, nei quali la lotta per la casa aveva incendiato le periferie romane schierando dalla stessa parte sindacalisti e comunisti, preti e intellettuali, scuole intere e tante persone comuni, il conflitto sociale si era spento con la creazione dei grandi alveari popolari dove la maggior parte degli ex baraccati e poveri trovò un tetto, ma anche, in alcuni casi, emarginazione e altro disagio. Nel 1990 l’allora sindaco Franco Carraro, all’indomani dell’approvazione della legge Martelli che affidava ai Comuni la responsabilità di individuare e accogliere i primi arrivi, collocò non senza polemiche in 8 tra ex scuole e immobili del Comune i mille migranti che si erano arrangiati nel ghetto dell’ex pastificio Pantanella in via Casilina.

E negli anni che seguirono una certa autogestione delle occupazioni e livelli di collaborazione tra le loro organizzazioni, come Action, furono sperimentate dalle Giunte che si avvicendarono proprio nella constatazione della mancanza di alternative e nel tentativo di aprire un dialogo non conflittuale e percorsi di socializzazione e inserimenti, per italiani e migranti. La pace si ruppe col sindaco Gianni Alemanno, che nel 2011 sgomberò senza alterative da un ex ambasciata in via dei Villini circa 100 rifugiati somali, in gran parte famiglie, dopo una denuncia di stupro. I movimenti gli risposero con lo Tsunami tour: circa 10 nuove occupazioni per rivendicare il diritto alla casa. E con Marino, presidi e proteste aumentarono mese dopo mese. La scelta dell’urbanista Paolo Berdini come assessore da parte di Virginia Raggi fece guardare ai movimenti con favore i primi mesi della sua Giunta.

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Lo sgombero del Forum per i movimenti dell’acqua dal palazzo Rialto, quello del palazzo al Tuscolano riversatisi nell’accampamento del colonnato di Santi Apostoli, poi via Curtatone e gli avvisi di sfratto a Angelo Mai, Casa delle donne e decine di altri spazi sociali della città, hanno sancito una frattura politica profonda tra la Giunta a 5 stelle e molti suoi ormai ex elettori dei quartieri popolari, che si aspettavano un cambiamento in chiave partecipata della gestione dell’emergenza abitativa e degli spazi pubblici. Con le mobilitazioni delle prossime settimane capiremo se sarà di nuovo scontro.

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