Un solo voto. Una differenza così esigua da scatenare un terremoto politico nel cuore dell’Europa. Il Parlamento europeo ha confermato l’immunità parlamentare di Ilaria Salis con 306 voti favorevoli contro 305 contrari e 17 astensioni, respingendo la richiesta delle autorità ungheresi di sospenderla. Ma è quanto accaduto dopo la proclamazione del risultato a trasformare una votazione già controversa in un caso politico destinato a lasciare strascichi.
L’eurodeputato tedesco del Ppe Markus Faber ha immediatamente segnalato un malfunzionamento della propria scheda elettronica, chiedendo la ripetizione del voto. Una richiesta respinta dalla presidente del Parlamento Roberta Metsola, che ha confermato l’esito dello scrutinio segreto. Una decisione che ha scatenato le ire della maggioranza popolare, convinta che quel guasto tecnico abbia di fatto determinato la salvezza dell’eurodeputata di Alleanza Verdi e Sinistra, accusata dalla magistratura ungherese di atti violenti contro manifestanti neonazisti a Budapest nel 2023.
Il verdetto arriva dopo mesi di tensioni e pressioni politiche. La commissione Affari giuridici aveva già votato contro la sospensione dell’immunità, anche in quel caso con un solo voto di scarto e a scrutinio segreto. Un dato che rivela le profonde divisioni trasversali nell’emiciclo di Strasburgo, con una parte consistente degli eurodeputati del Ppe che ha evidentemente disatteso la linea ufficiale del gruppo, favorevole invece alla revoca dell’immunità.
La vicenda del malfunzionamento tecnico solleva interrogativi sulla regolarità procedurale. Se Metsola avesse accolto la richiesta di Faber, consentendo una nuova votazione, il destino politico e giudiziario di Salis avrebbe potuto prendere una direzione completamente diversa. Il caso dimostra come un incidente tecnologico possa influenzare decisioni di portata europea, trasformando quello che sembrava un epilogo scontato in un risultato sul filo del rasoio.
Il gruppo della Sinistra al Parlamento europeo ha salutato l’esito con un comunicato ufficiale, definendolo “una vittoria per la democrazia, lo stato di diritto e l’antifascismo”. Secondo i rappresentanti del gruppo, il voto rappresenta “una riaffermazione della democrazia e del principio fondamentale secondo cui i rappresentanti eletti non possono essere messi a tacere dai regimi autoritari”. La stessa Salis, intervenuta da Strasburgo, ha dichiarato che “questa decisione dimostra che la resistenza funziona” e che “quando rappresentanti eletti, attivisti e cittadini difendono insieme i valori democratici, le forze autoritarie possono essere affrontate e sconfitte”.
L’eurodeputata italiana non si è limitata a celebrare il risultato, ma ha rilanciato la battaglia su altri fronti. Salis ha chiesto il rimpatrio immediato di Maja T., attivista antifascista tedesca attualmente detenuta in Ungheria in condizioni simili a quelle da lei stessa denunciate durante la sua prigionia a Budapest. Maja era stata arrestata a Berlino a fine 2023 ed estradata in Ungheria nel giugno 2024, nonostante un ricorso costituzionale pendente. Nel febbraio scorso, la Corte costituzionale federale tedesca ha concluso che l’estradizione era illegittima.
Salis ha inoltre ribadito la richiesta di essere processata in Italia anziché in Ungheria, sostenendo che solo nel proprio Paese potrebbe ricevere un processo equo. Il gruppo della Sinistra ha annunciato che continuerà a sostenere “tutti gli attivisti antifascisti presi di mira per aver sfidato le forze autoritarie e fasciste”, chiedendo “il divieto assoluto di estradizione verso l’Ungheria o qualsiasi altro Stato membro che non rispetti lo stato di diritto”.
In Italia, il voto ha immediatamente innescato uno scontro interno al centrodestra. Il leader della Lega Matteo Salvini ha denunciato il ricorso allo scrutinio segreto come un “trucchetto” che ha permesso a “qualcuno che si dice di centrodestra” di salvare Salis dal processo. “Accusata di lesioni aggravate potenzialmente letali e altre condotte criminose in concorso con altri, all’interno di un’organizzazione criminale. Vergogna!”, ha tuonato il vicepremier.
La replica di Antonio Tajani non si è fatta attendere.
Il leader di Forza Italia ha respinto con fermezza “calunnie e insulti”, rivendicando la lealtà e la coerenza del proprio partito. “Noi abbiamo sempre detto qual era la linea del voto, poi a scrutinio segreto ci sono 700 e più parlamentari che votano”, ha dichiarato il ministro degli Esteri, aggiungendo che “è inutile andare a cercare qualche voto in più” e che le polemiche interne al centrodestra fanno solo perdere consensi. Tajani ha sottolineato come Forza Italia sia oggi “la seconda forza del centrodestra”, segno che “i cittadini credono a quello che diciamo noi”.
Salvini ha successivamente precisato di non accusare “tizio o caio”, ma ha insistito sul fatto che “se mancano alcune decine di voti nel cosiddetto centrodestra qualcuno di nascosto ha mancato di parola”. Una dichiarazione che, pur ammorbidendo i toni, lascia intendere la persistenza di sospetti su franchi tiratori all’interno della maggioranza europea.
Dal fronte opposto, la segretaria del Pd Elly Schlein ha espresso soddisfazione per l’esito del voto, definendolo una vittoria dei “principi dello stato di diritto”. Schlein ha accolto con favore l’ipotesi che “diversi eurodeputati dei Popolari europei o di Forza Italia abbiano votato a favore”, interpretandola come un segnale che “non tutti accettano di farsi trascinare sempre fuori dai principi dello stato di diritto dalla propaganda autocratica di Orbán e dei suoi alleati politici”.
Durissima la reazione di Fratelli d’Italia. Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli ha definito Salis “l’euroteppista” salvata da “un voto kafkiano”, aggiungendo che il risultato “suona già come una condanna politica e morale”. Rampelli ha invitato l’eurodeputata a chiedere scusa e a “utilizzare il pulpito del Parlamento europeo per dire ai ragazzi che la violenza non ha giustificazioni, chiunque sia la vittima designata”, accusandola di apparire come “l’ennesima cattiva maestra della sinistra estremista”.
Il caso Salis si inserisce in un più ampio confronto tra Unione Europea e Ungheria sul rispetto dello stato di diritto. Il governo di Viktor Orbán è da anni sotto osservazione per presunte violazioni dei principi democratici, e la vicenda dell’eurodeputata italiana è diventata un simbolo di questo scontro. Per la sinistra europea, rappresenta la difesa dei valori democratici contro derive autoritarie. Per una parte del centrodestra, invece, è l’esempio di come lo schieramento progressista protegga presunti responsabili di atti violenti invocando principi democratici.