Politica

Santanchè, lo scudo dell’immunità: la maggioranza sfida la procura di Milano sulle intercettazioni

Daniela Santanché

Un atto di forza della maggioranza per ergere uno scudo attorno a un ministro sotto inchiesta. È lo scontro istituzionale che si prepara a Palazzo Madama, dove il caso giudiziario che coinvolge il ministro del Turismo Daniela Santanchè rischia di trasformarsi in un duello senza esclusione di colpi tra il Parlamento e la Procura della Repubblica di Milano.

La relatrice Erika Stefani (Lega) ha formalmente proposto di sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale contro gli atti dei magistrati milanesi. Il cuore della questione è tecnico, ma le implicazioni sono enormi: la Procura, nelle indagini sulla senatrice di FdI (coindagata per truffa ai danni dell’Inps in epoca Covid), avrebbe violato le sue guarentigie parlamentari. Il pretesto: un “malloppo enorme” di intercettazioni e mail acquisite senza la preventiva autorizzazione del Senato.

Il voto della Giunta è atteso per martedì prossimo. Poi, toccherà all’aula confermare o affossare la mossa. Una partita dentro cui si gioca il destino politico della ministra e l’equilibrio dei poteri dello Stato. Stefani non usa mezzi termini. Espone una tesi giuridica aggressiva, fondata su sentenze della Corte Costituzionale che la maggioranza intende brandire come arma. “La Procura”, spiega, “ha utilizzato la trascrizione di conversazioni registrate da un privato nascostamente”. Non solo: “Sono state acquisite tutte le mail scambiate dalla senatrice Santanchè con vari soggetti”.

Per la relatrice, questo costituisce una palese violazione. La corrispondenza, sia essa cartacea o digitale, gode di una protezione speciale. “Anche se hai la corrispondenza salvata all’interno del PC – argomenta Stefani citando la Consulta – non è che diventa un documento, è sempre corrispondenza”. Un principio sacrosanto, paragonato nientemeno che alla riservatezza delle “lettere di Gramsci”, che non si possono requisire senza un via libera dell’Assemblea.

La seconda gamba della contestazione riguarda le intercettazioni. Anche in questo caso, la Corte avrebbe stabilito che l’acquisizione dei tabulati debba essere autorizzata, “a maggior ragione quando tu fai un’intercettazione”. La richiesta è quindi di deferire alla Corte Costituzionale il compito di dirimere la questione: la guarentigia è stata calpestata o meno?

L’esito di questo braccio di ferro è altamente incerto, ma le poste in gioco sono chiare. Da un lato, c’è l’autonomia della magistratura e la sua capacità di indagare su reati gravi, anche quando a commetterli sono potenti uomini delle istituzioni. Dall’altro, c’è la prerogativa parlamentare, un presidio che la maggioranza difende come inviolabile, ma che gli oppositori vedono come un potente strumento di immunità di fatto.

Se la Corte Costituzionale dovesse dare ragione alla tesi della relatrice, gli atti acquisiti dai pm diventerebbero improvvisamente inutilizzabili. Un’ipotesi che getterebbe il caso Santanchè nel caos più totale. Se, al contrario, la Corte bocciasse il conflitto, la maggioranza subirebbe una dura batosta politica e le indagini proseguirebbero il loro corso.

Oltre il tecnicismo giuridico, è in corso una guerra per la narrazione. Per alcuni, è la difesa dello Stato di diritto dalle scorciatoie delle Procure. Per altri, è l’ennesimo tentativo di proteggere un esponente di governo usando la legge come un’arma. Martedì il primo round.

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Redazione