Sempre meno preti, ecco quando il laico sostituisce parroco

Sempre meno preti, ecco quando il laico sostituisce parroco
20 luglio 2020

La nuova istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” pubblicata oggi dalla congregazione vaticana del Clero ribadisce che è “esclusa ogni possibilità di conferire” la funzione di parroco a chi fosse privo dell`Ordine del presbiterato, ma ricorda però che esiste una modalità per il Vescovo di “provvedere alla cura pastorale di una comunità anche qualora, per la scarsità di sacerdoti, non sia possibile nominare un parroco né un amministratore parrocchiale, che possa assumerla a tempo pieno”.

“In tali circostanze pastoralmente problematiche, per sostenere la vita cristiana e far proseguire la missione evangelizzatrice della comunità, il Vescovo diocesano può affidare una partecipazione all`esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, a un consacrato o un laico, o anche a un insieme di persone (ad esempio, un istituto religioso, una associazione)”, afferma il dicastero guidato dal cardinale Beniamino Stella, precisando che si tratta di “una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale” e che “coloro ai quali verrà in tal modo affidata la partecipazione nell`esercizio della cura pastorale della comunità, saranno coordinati e guidati da un presbitero con legittime facoltà, costituito ‘Moderatore della cura pastorale’, al quale esclusivamente competono la potestà e le funzioni del parroco, pur non avendone l`ufficio, con i conseguenti doveri e diritti”.

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Quanto ai diaconi, “sono molti gli incarichi ecclesiali che possono essere affidati a un diacono, ossia tutti quelli che non comportano la piena cura delle anime”, ricorda l`istruzione. “In ogni caso, la storia del diaconato ricorda che esso è stato istituito nell`ambito di una visione ministeriale di Chiesa e, perciò, come ministero ordinato al servizio della Parola e della carità; quest`ultimo ambito comprende anche l`amministrazione dei beni. Tale duplice missione del diacono, poi, si esprime nell`ambito liturgico, nel quale egli è chiamato a proclamare il Vangelo e a prestare servizio alla mensa eucaristica. Proprio questi riferimenti potrebbero giovare a individuare compiti specifici per il diacono, valorizzando gli aspetti propri di tale vocazione in vista della promozione del ministero diaconale”.

Il documento vaticano precisa, ancora, che “oltre a quanto compete ai Lettori e agli Accoliti stabilmente istituiti, il Vescovo, a suo prudente giudizio, potrà affidare ufficialmente alcuni incarichi ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sotto la guida e la responsabilità del parroco”, come, ad esempio, “la celebrazione di una liturgia della Parola”, “l`amministrazione del battesimo”, “la celebrazione del rito delle esequie”, o “predicare in una chiesa o in un oratorio” e, infine, “il Vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza dalla Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni”.

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Coloro che hanno gli incarichi di catechisti, ministranti, educatori che operano in gruppi e associazioni, agli operatori della carità e a coloro che si dedicano ai diversi tipi di consultorio o centro di ascolto, a coloro che visitano i malati, precisa ancora l`istruzione, “non siano designati con le espressioni di “parroco”, “co-parroco”, “pastore”, “cappellano”, “moderatore”, “coordinatore”, “responsabile parrocchiale” o con altre denominazioni simili, riservate dal diritto ai sacerdoti, in quanto hanno diretta attinenza con il profilo ministeriale dei presbiteri”. Più appropriata, si legge, “sembra essere, ad esempio, la denominazione di “diacono cooperatore” e, per i consacrati e i laici, di “coordinatore di.. (un settore della pastorale)”, di “cooperatore pastorale”, di “assistente pastorale” e di “incaricato di.. (un settore della pastorale)'”. Infine, quella per la celebrazione dei sacramenti è “un`offerta che, per sua natura, deve essere un atto libero da parte dell`offerente, lasciato alla sua coscienza e al suo senso di responsabilità ecclesiale, non un ‘prezzo da pagare’ o una ‘tassa da esigere’, come se si trattasse di una sorta di ‘imposta sui sacramenti'”.

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