E’ morto a 66 anni a Zurigo, Sergio Marchionne, da fine giugno 2018 era ricoverato in Svizzera per un intervento chirurgico dal quale non si è mai ripreso. Marchionne è l'”eroe dei due mondi” dell’automotive. È il manager che prima ha risollevato le sorti della Fiat dopo la più grave crisi nella sua storia, poi è andato oltreoceano e ha fatto lo stesso con la Chrysler, riuscendo in breve tempo a realizzare la prima vera fusione nel settore auto nel segno del Made in Italy.
Applaudito all’estero, osannato o demonizzato in Italia, il manager che ha rivoluzionato la Fiat assumendone la guida il 1 giugno 2004, pochi giorni dopo la morte di Umberto Agnelli, è nato a Chieti il 17 giugno 1952. Ha doppia nazionalità, italiana e canadese. Laureato in Filosofia e in Legge a Toronto e in Economia e commercio a Windsor. Fino al ’94 ha lavorato tra Canada e Stati Uniti, prevalentemente nel campo legale, tornato in Europa, invece, ha iniziato a ricoprire incarichi manageriali in diverse grandi aziende, fino ad approdare alla svizzera Sgs.
Era stato Umberto Agnelli negli ultimi giorni di vita a indicare Sergio Marchionne per il ruolo di amministratore delegato del gruppo Fiat che stava vivendo la più grave crisi nella sua storia ultracentenaria. Quasi tre lustri fa sul futuro della Fiat c’erano solo nubi. L’impero della famiglia Agnelli era oggetto di vertici di governo e riunioni segrete a via XX Settembre organizzate dall’allora ministro Tremonti su piani di nazionalizzazione. La grande GM preferì staccare un assegno da 2 miliardi piuttosto che acquistare Fiat Auto.
Quando Marchionne arrivò al timone, il gruppo Fiat in Borsa valeva la miseria di 4 miliardi, non produceva utili ed era schiacciato da un debito da far tremare i polsi. Nella difficile operazione di riassetto, Marchionne ha potuto contare sul sostegno delle principali banche italiane che si erano impegnate con un convertendo da 3 miliardi di euro nei confronti della Fiat che era tecnicamente fallita. Sono state le banche a far naufragare il progetto di nazionalizzare la Fiat, progetto che godeva di un certo sostegno sia dentro una parte del sindacato e sia tra le forze politiche.
I manager non si giudicano solo con i numeri. L’era Marchionne, ormai conclusa con la scomparsa del manager, tre giorni dopo il passaggio di consegne in Fca, non è solo una storia di successo osservando i bilanci. Ha ridisegnato il profilo della Fiat andando oltre l’autocentrismo di Ghidella degli anni ’70. In questa operazione il manager venuto da Chieti ha incassato la fiducia dei mercati finanziari per i quali è una autentica star. Oggi la somma delle parti che fanno capo a Exor (Fca, Ferrari e Cnh) capitalizza 65 miliardi, GM si ferma a 54 miliardi, Ford a 42, Peugeot e Renault a una ventina.
Un certo provincialismo italiano per anni si è soffermato sul tasso di italianità della Fiat che aveva osato sbarcare negli States e prendersi una derelitta Chrysler e riuscendo in breve tempo a realizzare la prima vera fusione nell’auto. Risultato ancor più significativo dopo la infelice avventura della Daimler con Chrysler. I pregiudizi tedeschi hanno stoppato Marchionne nel disegno del polo europeo con Opel. E’ Marchionne che ha anticipato il nuovo assetto industriale dell’automotive a stelle e strisce, puntando su pick-up e suv.
E’ sempre dal Lingotto che è partito il messaggio sulla necessità del consolidamento di un settore ad altissima intensità di capitale che è entrato in una profonda rivoluzione che non è solo tecnologica ma ridefinisce il principio stesso di mobilità. Corteggia, non ricambiato, Mary Barra per una fusione con GM. E’ sempre Marchionne che in Italia si chiama fuori dal capitalismo di relazione, fa uscire Fiat dal salotto buono di Mediobanca e dall’editoria, e poi da Confindustria. Le sfide non sono certo finite, anzi si moltiplicano con l’aumentare della complessità dei mercati globalizzati. La principale sarà far convivere Jeep, le future auto elettriche, le piccole in Italia ed Europa e il “polo del lusso” Alfa-Maserati.