Stati Uniti-Israele: l’impasse di Gaza costringe Washington a rivedere la strategia mediorientale

Altri 25 morti nel caos degli aiuti, migliaia di bambini verso la fame. Il segretario di Stato Marco Rubio riconosce privatamente la necessità di un cambio di rotta dopo sei mesi di sostegno incondizionato a Netanyahu

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Benjamin Netanyahu e Donald Trump

Washington si sveglia dal sogno di una guerra lampo. Dopo sei mesi di sostegno incondizionato a Benjamin Netanyahu, l’amministrazione Trump scopre che la strategia del “lasciar fare” non solo non ha risolto la crisi di Gaza, ma l’ha trasformata in un incubo diplomatico e umanitario senza precedenti.

Il momento della verità è arrivato attraverso le parole sussurrate del segretario di Stato Marco Rubio durante un incontro riservato con le famiglie degli ostaggi israeliani. “Serve un ripensamento della strategia americana su Gaza”, ha ammesso secondo quanto rivelato da Axios. Un’ammissione che suona come una resa, dopo mesi di retorica sulla “soluzione definitiva” e sul “finire il lavoro”.

La realtà dei fatti è brutale quanto le immagini che arrivano dalla Striscia. Venticinque palestinesi sono morti nei bombardamenti di ieri al valico di Zikim, proprio mentre cercavano di ottenere aiuti umanitari. Il paradosso è feroce: morire mentre si cerca di sopravvivere, cadere sotto le bombe mentre si fa la fila per un sacco di farina.

Un assegno in bianco che si è rivelato un boomerang

La promessa dei tre mesi si è trasformata in un’eternità di sofferenza. Trump aveva garantito che con il suo arrivo alla Casa Bianca tutto si sarebbe risolto rapidamente. Netanyahu aveva fatto eco, sicuro che il sostegno americano avrebbe spezzato definitivamente la resistenza di Hamas. Invece, ventuno mesi dopo l’inizio del conflitto, Gaza è diventata il simbolo di un fallimento strategico che sta isolando Washington sulla scena internazionale.

Il presidente americano ha concesso all’alleato israeliano una libertà d’azione totale: dalle operazioni militari ai negoziati sugli ostaggi, dalla distribuzione degli aiuti alle tattiche negoziali. Un assegno in bianco che si è rivelato un boomerang. Anche quando le immagini dei bambini che muoiono di fame hanno commosso lo stesso Trump, la pressione su Netanyahu è rimasta praticamente inesistente.

“Anzi, fonti vicine alla Casa Bianca riferiscono che in alcune occasioni il presidente avrebbe addirittura incoraggiato ‘Bibi’ a colpire Hamas ancora più duramente”. Ma le bombe anti-bunker americane e il sostegno politico incondizionato non sono bastati a cambiare le sorti di una guerra che sembra non avere fine. Gli Stati Uniti hanno assistito impotenti alla violazione della tregua mediata da Steve Witkoff, hanno appoggiato l’approccio incrementale del rilascio graduale degli ostaggi – una strategia che né la Casa Bianca né Rubio condividevano realmente, ma che faceva comodo a Netanyahu per non impegnarsi a porre fine al conflitto.
 

Il caos al valico Zikim

Il risultato è una tragedia umanitaria che ha superato ogni soglia di allarme. Oltre 100 organizzazioni internazionali hanno lanciato questa settimana l’allarme su una “carestia di massa” che sta devastando Gaza. Il governo palestinese parla di “catastrofe umanitaria senza precedenti e imminente”, con 100.000 bambini sotto i due anni – di cui 40.000 neonati – che rischiano di morire nei prossimi giorni per la totale mancanza di latte per neonati e integratori alimentari.

Il caos al valico di Zikim racconta meglio di qualsiasi statistica l’abisso in cui è precipitata la Striscia: migliaia di persone che si affollano, spesso dopo aver percorso chilometri a piedi, per un sacco di farina. Una scena medievale nel XXI secolo, mentre i riflettori del mondo sono puntati su una Casa Bianca che si ritrova prigioniera delle proprie scelte.

L’ironia più amara emerge dalle rivelazioni del New York Times: Israele non possiede alcuna prova che Hamas sottragga sistematicamente gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, nonostante questa accusa sia stata la principale giustificazione per ostacolare le operazioni di soccorso. Fonti militari israeliane confermano che il sistema ONU era il metodo più affidabile ed efficace per la distribuzione degli aiuti, mentre Hamas derubava principalmente organizzazioni minori.

La domanda che aleggia nella Casa Bianca

La presa di coscienza che la strategia non ha funzionato è arrivata, ma ancora non è stato deciso se e come cambiarla. Trump si trova oggi di fronte al dilemma che ha caratterizzato decenni di politica mediorientale americana: come uscire da un vicolo cieco senza perdere la faccia, come abbandonare un alleato senza sembrare deboli, come fermare una tragedia umanitaria senza ammettere di averla alimentata.

La base MAGA inizia a mostrare crepe nel sostegno incondizionato a Netanyahu, mentre l’isolamento internazionale di Washington si fa sempre più pesante. I negoziati di Doha sono saltati ancora una volta, e quando Trump ha dichiarato che è tempo per Israele di “sbarazzarsi” di Hamas e “finire il lavoro”, nessuno – nemmeno in Israele – è riuscito a capire se si trattasse di una tattica negoziale o di un vero cambio di rotta.

La domanda che aleggia sui corridoi della Casa Bianca è se l’America sia ancora in grado di essere un mediatore credibile o se sia diventata ostaggio delle proprie promesse elettorali. Mentre i bambini di Gaza continuano a morire di fame e le famiglie israeliane aspettano ancora il ritorno dei loro cari, Washington si interroga su quanto possa costare alla superpotenza mondiale l’aver scommesso tutto su una strategia che ha trasformato un conflitto regionale in una catastrofe globale.