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Svolta nella giustizia, via libera al Senato: la separazione delle carriere verso il referendum

Con 106 voti favorevoli, 61 contrari e 11 astensioni, il Senato ha dato il via libera al disegno di legge Meloni-Nordio sulla riforma della giustizia costituzionale, un provvedimento che segna un punto di svolta nel sistema giudiziario italiano. La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, cuore della riforma, ha acceso un dibattito infuocato, tra chi la celebra come una conquista storica e chi la denuncia come un colpo all’autonomia della magistratura. Il voto di Palazzo Madama, secondo passaggio parlamentare dopo l’approvazione alla Camera a gennaio, è solo un tassello di un percorso che culminerà in un referendum confermativo nella primavera del 2026.

La maggioranza esulta: “Una riforma epocale”

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non ha nascosto l’entusiasmo, definendo la riforma “epocale”. “È un sogno che inseguo dal 1995, da quando, da magistrato, scrivevo di giustizia”, ha dichiarato, sottolineando come il provvedimento miri a liberare la magistratura dalle “correnti” interne attraverso una rimodulazione del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Gli fa eco Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, che parla di “risultato storico” e di una giustizia “libera dal potere correntizio”. Per il vicepremier Antonio Tajani, leader di Forza Italia, la riforma realizza “il sogno di Silvio Berlusconi”, garantendo “un processo equo per tutti”. Matteo Salvini, segretario della Lega, rincara: “Gli italiani ci hanno votato per questo, e noi passiamo dalle parole ai fatti”.

L’opposizione insorge: “Un attacco alla Costituzione”

Ma l’esultanza della maggioranza si scontra con la furia dell’opposizione. In aula, i senatori del Movimento 5 Stelle hanno protestato sollevando cartelli che invocavano Falcone e Borsellino, accusando il centrodestra di strumentalizzare i due simboli dell’antimafia. Il Pd ha risposto mostrando copie della Costituzione capovolte, un gesto simbolico di condanna. Giuseppe Conte, leader M5S, ha definito la riforma “una giustizia su misura per i potenti”, un “guinzaglio” ai magistrati che protegge “politici e privilegiati”. Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, ha paragonato il disegno di legge al modello autoritario di Polonia e Ungheria, accusando la destra di voler ridurre la giustizia a “potere ausiliario dell’esecutivo”. Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, vede nella riforma “un attacco all’autonomia della magistratura”, mentre Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera, promette battaglia: “Tocca agli italiani fermare questa arroganza al referendum”.

L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) lancia un allarme: “Questa riforma toglierà garanzie ai cittadini, con l’intento di rendere la magistratura subalterna”. Il timore è che la separazione delle carriere e la nuova composizione del CSM riducano l’indipendenza dei giudici, piegandoli al potere politico.

Verso il referendum: una battaglia aperta

Il percorso del ddl Meloni-Nordio è ancora lungo: dopo l’estate tornerà alla Camera, poi di nuovo al Senato per l’approvazione definitiva. Senza il consenso dei due terzi del Parlamento, il referendum del 2026 sarà decisivo. Intanto, l’Italia si trova di fronte a un bivio: una riforma che modernizza la giustizia o un passo verso la sua politicizzazione? La risposta, forse, spetterà ai cittadini.

Pubblicato da
Enzo Marino