Teatro Massimo Palermo, dopo 9 anni ritorna “Un ballo in Maschera”

di Laura Donato

È  “Un Ballo in Maschera” più che godibile quello attualmente in scena al Massimo di Palermo sino al prossimo 27 maggio. L’opera di Verdi nell’allestimento storico di Pier Luigi Samaritani firmato per il Regio di Parma nell’80 è tornato dopo nove anni di assenza nel teatro lirico del capoluogo siciliano. Diretto da Paolo Arrivabeni con quasi metodica routine conta su due cast alternatisi dal 19, sera del debutto: nel ruolo principale di: Riccardo Roberto Aronica (19, 22, 24, 27) / Giuseppe Gipali (20, 23, 26), Renato Giovanni Meoni (19, 22, 24, 27) / Devid Cecconi (20, 23, 26, Amelia Oksana Dyka (19, 22, 24, 27) / Virginia Tola (20, 23, 26), Ulrica Tichina Vaughn (19, 22, 24, 27) / Judit Kutasi (20, 23, 26), Oscar Zuzana Marková (19, 22, 24, 27) / Anna Maria Sarra (20, 23, 26), Silvano Nicolò Ceriani, Samuel Paolo Battaglia Tom Manrico Signorini, Un giudice / Un servo d’Amelia Cosimo Vassallo.  A firmare la ripresa samaritana il regista Massimo Gasparon. Opera la sua che non si è limitata alla semplice ripresa, ma che ha cercato di innovare un allestimento che forse poteva dirsi datato, ma che sicuramente mantiene il fascino della tradizione. Quanto della versione vista però sia dell’uno o dell’altro non è possibile sapere. Quello che tuttavia emerge è una certa tendenza a far prevalere l’aspetto comico, gioioso di alcune situazioni, piuttosto che quello fosco e drammatico se non giocare abilmente mixando l’uno e l’altro aspetto, cosa del resto voluta dallo stesso Verdi che così sagacemente lo ha reso nella sua musica. Ballo in maschera, venuto al mondo dopo la trilogia Traviata, Trovatore e Rigoletto, è sicuramente un’opera complessa, all’insegna del rinnovamento compositivo già in atto in Verdi. Dopo Ballo passerà un bel po’ di tempo prima che il compositore riprenda la penna in mano per comporre. Un’opera funestata dalla censura, prima borbonica poi papalina. Il previsto debutto al San Carlo di Napoli venne infatti spostato a Roma proprio a causa del soggetto: l’omicidio di un monarca. Ispirata infatti ad un fatto realmente accaduto – l’uccisione del re svedese Gustavo III avvenuto nel 1792 – portò l’opera ad essere bandita da Napoli a causa del fallito attentato a Napoleone III e poi a Roma costretta ad emigrare in America.

Ecco quindi che il soggetto dell’opera dalla Svezia di fine Settecento viene trasferito in una colonia americana, Boston per l’esattezza, alla fine del Seicento; Gustavo perde la corona e diventa conte prendendo il nome di Riccardo. L’intrigo politico – che si identifica nella cospirazione dei cortigiani Samuel e Tom – tuttavia sembra essere secondario nell’opera verdiana, in quanto il gesto efferato viene deciso alla scoperta di un ipotetico tradimento. Ballo in Maschera è infatti costruito sul triangolo amoroso Riccardo – Amelia – Renato, dove quest’ultimo è il fedele braccio destro del conte, nonché marito della donna di cui segretamente, ma non tanto, è innamorato Riccardo: Amelia, appunto. Verdi mescola mirabilmente il senso tragico del dramma crescente alla giocosità dell’atmosfera di corte, giocando musicalmente con i caratteri dei personaggi: sin dal Preludio è possibile individuare i nuclei tematici appartenenti alle singole situazioni, dal connubio amoroso, al tema dei congiurati e quindi del dramma, alla giocosità del ballo. A questo si aggiunge l’atmosfera magica e misteriosa dell’indovina Ulrica che svela quasi subito le trame predicendo a Riccardo la morte per mano del suo migliore amico.

La scena nell’antro della strega, come anche il duetto d’amore tra Riccardo e Amelia – sicuramente uno dei più appassionati e appassionanti del panorama operistico e verdiano – insieme al finale del secondo atto con lo sbeffeggiare ironico della risata dei congiurati all’indirizzo del povero Renato che macera e rode dentro di se dopo avere scoperto che la moglie lo tradisce con il suo migliore amico, o il terzo atto per intero, è sicuramente uno dei momenti più alti dell’opera, che comunque va gustata attimo per attimo, nota per nota alla scoperta del genio verdiano. Pur con una inclinazione alla routine, con una lettura che certamente non approfondisce le diverse sfumature della partitura, Arrivabene, conduce con equilibrio l’orchestra del Massimo assecondando più le necessità dei singoli cantanti che non quelle dell’opera.  Nei due cast si distinguono particolarmente le voci femminili, ben aderenti ai personaggi di Amelia e Ulrica, ma anche dello stesso Oscar. Diversa sorte quella delle voci maschili, cui mancavano sicuramente gli slanci e la passionalità dei ruoli di Riccardo e Renato. Discreta la prova del coro, a volte slegato, in particolare nel coro dei congiurati della fine del secondo atto, come di Tom e Samuel. Da Amedeo Amodio, che firmava le coreografie ci saremmo spettati qualcosa di più del semplice rotolarsi a terra dei seguaci di Ulrica o degli accennati passi di danza della scena finale del Ballo.

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