Teatro Massimo di Palermo, Un Elisir d’Amore giocoso e godibile

Arturo Chacon Cruz ©Franco Lannino
20 giugno 2018

Il mondo coloratissimo, vivace e grottesco del Circo di Botero come sfondo alla vicenda dei donizettiani Nemorino e Adina. Tra un sospiro, una malizia ed una furfanteria, il regista Victor Garcia Sierra tesse le trame di Un Elisir d’Amore, giocoso e godibile, rispettoso, nonostante la novità dell’ambientazione circense, dello spirito dell’opera. Unico punto che gioca forse a sfavore di un allestimento che avrebbe potuto essere ancora più brillante l’ammasso scenico di carrozzoni e tendone da circo appunto che se nei quadri di Botero accentuano l’effetto surreale qui appesantiscono e restringono la scena consentendo ben poca azione o movimento a coro e solisti che finiscono per restare abbastanza statici. A questo inconveniente si sottrae, tuttavia, l’Adina di Laura Giordano.

La soprano palermitana, che bissa la sua presenza al Massimo dopo il successo ottenuto ne I Puritani di Aprile, infatti presta la sua naturale verve interpretativa e una vocalità rotonda e calda ad una Adina capricciosa, bamboleggiante, maliziosa ma pur tenera e innamorata, come ben dimostra nel duetto del Primo atto con Nemorino, nella Barcarola, nell’Aria del secondo Atto “La ricetta è il mio visino…” e i quella del finale “Prendi…”. Ben calata nelle trame ora grottesche ora comiche che la fanno prima rifiutare poi stuzzicare, ingelosendolo, ed infine accettare l’amore del povero Nemorino che così, in un’altalena di sentimenti si vede ora respinto ora allettato dalla “Barbara”. Arturo Chacòn-Cruz veste i panni del giovane impacciato e perso d’amore, e su questa linea si muove interpretando un Nemorino dalla voce aperta, un po’ sforzata, ma sincera e giustamente accorata nella celebre Furtiva Lagrima. A far da terzo incomodo nelle baruffe amorose dei due Belcore che qui da Sergente dell’esercito si trasforma in Domatore di leoni, con al suo seguito un manipolo di attrezzisti, anziché soldati. La piazza presa è quella dove sorge il tendone del Circo che diventa così luogo di incontri e scontri.

Giuseppe Altomare è un Belcore un po’ sulle righe, sbruffone e vanaglorioso, ma perfettamente in linea con il personaggio boteriano cui la regia si ispira. La sua è una interpretazione che muove più le fila attoriali che non quelle vocali, ciò gli permette comunque di superare brillantemente la prova tratteggiando divertenti siparietti. Ma il ruolo più divertente dell’opera è notoriamente quello del Dottore Dulcamara, medico, scienziato, ciarlatano, inventore di pozioni “miracolose” e “miracolanti”, e “distillatore”, lui dice, dell’Elisir d’amore della Regina Isotta, e che vende a Nemorino per uno zecchino. Deus ex Machina di tutta la storia che con la sua truffa svela in realtà l’amore che Adina cela dentro al suo cuore. Giovanni Romeo, nel ruolo di Dulcamara, sfoggia tutte le sue armi interpretative proprio per disegnare l’elemento comico e farsesco del personaggio. Più un Negus da Vedova Allegra che basso buffo belcantista il suo Dulcamara sembra passare dal lirico al pop in un niente.

L’Effetto ilare e buffo è però assicurato in particolare nei duetti con Nemorino e nella celebre Barcarola a due voci con Adina durante il banchetto delle nozze. A Maria Francesca Mazzara il ruolo di Giannetta, ruolo ambiguo – non si riesce infatti a comprendere quanto realmente amica di Adina visto che sembra contenderle sia Nemorino che Belcore – che viene risolto con cipiglio, a volte un po’ urlato, dalla Mazzara. A condire il tutto la direzione orchestrale di Alessandro D’Agostini chiamato alla guida dell’Orchestra del Massimo. Una direzione che non ha brillato nella cura delle dinamiche donizettiane, ma lineare nel suo insieme, a volte un po’ opaca nel suono, ma senza particolari discrepanze tra Golfo e palco. Molto bene il Coro, sempre ben diretto da Piero Monti. Questo Elisir – in scena ancora oggi, 22 e 24 giugno – porta così alla pausa estiva con la stagione che riprenderà a fine settembre con il balletto di Carolyn Carlson e poi a ottobre con il Rigoletto di Verdi a firma dell’attore/regista americano John Turturro.

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