Pensieri&Parole

Se il tennis riconcilia con il mondo

Nell’epoca della rottamazione, del giovanilismo, della potenza a tutti i costi, la vittoria di Roger Federer a Wimbledon è una favola che travalica i campi in erba che dal 1922 ospitano il tempio del tennis. Per tante ragioni. La prima: Re Roger avrà 36 anni tra poche settimane. Seconda: è l’ottavo titolo che porta a casa nel circolo a sud ovest di Londra (il primo lo conquistò nel 2003) e ha già annunciato che tornerà il prossimo anno a difenderlo. Terza: nel suo leggendario cammino non ha perso un set (l’ultimo a cui riuscì un’impresa del genere fu Bjorn Borg nel 1976). Quarta:il gioco. Sublime, come al solito. L’eleganza, l’intelligenza, la costruzione del punto. La palla addomesticata come se fosse legata con un elastico alla racchetta nera che Sir Roger ha disegnato personalmente per la Wilson (chissà quante ne hanno vendute nonostante i suoi 340 grammi, peso proibito ai non agonisti). Quel rovescio, come sifaceva una volta. Quasi un passo di danza. Alla faccia del colpo a due mani propagandato nelle scuole tennis (o di baseball?) come sinonimo di potenza e stabilità. Quinta: i punti. Il tennis è un gioco di testa (soprattutto di concentrazione) e di singoli quindici, alcuni decisivi. Durante la finale Federer ha fatto otto errori gratuiti. Otto, in tre set. Certo l’avversario, il croato Marin Cilic, non era in forma, si è temuto anche che si ritirasse a metà del secondo set dopo aver chiamato il fisioterapista (ormai è un rito peri tennisti, come l’insopportabile lancio dell’asciugamano).

Sesta: il torneo di Wimbledon èil secondo Slam che lo svizzero ha vinto quest’anno (ha trionfato pure all’Australian Open). È vero che per prepararsi al meglio ha rinunciato alla stagione sulla terra (lasciandoci orfani anche a Roma) ma se questi sono i risultati, allora non si può dargli torto quando ieri alla fine dell’incontro ha ironizzato: “Si vede che le pause mi fanno bene”. Settima: Federer torna numero 3 del mondo. È ancora lì. Quest’anno aveva ricominciato dalla diciannovesima posizione. Va avanti. Ottava: il comportamento. Impeccabile (a differenza degli inizi della carriera). Nona: il legame tra Federer e Wimbledon racconta una storia unica nell’epoca della “poligamia dei luoghi” imposta dalla globalizzazione. Non è un caso che lo svizzero abbia acquistato una casa a poca distanza per evitare di stare in albergo le due settimane del torneo. Decima ragione: la famiglia. La moglie Mirka sempre in tribuna e i quattro figli danno una dimensione corale del trionfo. Ovviamente ci potrebbero essere anche altri motivi per incoronare l’ennesima impresa di Roger come un’esperienza che riconcilia con il mondo e per definirlo il giocatore più forte di tutti i tempi. Ogni amante del tennis non faticherà a trovarne. Pochi giorni fa Alessandro Baricco ha scritto su Repubblica che “ci sono molti modi per scoprire cos’è la solitudine, ma solo due prevedono che lo si faccia in compagnia di un’altra persona e costretti in pochi metri quadri: il matrimonio e il tennis”. In realtà di modi in cui si è “soli” in compagnia dell’avversario in spazi ristretti ce ne sono diversi, anche in altri sport: la boxe e la scherma, ad esempio. Piuttosto il miracolo di Federer è proprio aver costruito un mondo magico intorno a quella solitudine. Un mondo dove, come ha detto lui stesso, “se ci credi davvero puoi arrivare lontano”.

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