Un’imbarcazione carica di speranze si è trasformata in una tomba d’acqua al largo della Mauritania: 69 migranti hanno perso la vita nel naufragio di martedì, l’ennesima strage nel pericoloso corridoio verso l’Europa. Mentre le autorità contano i morti, emergono denunce di abusi contro i migranti, alimentando il dibattito su un sistema migratorio al collasso.
Nella tarda serata di martedì, a circa 80 chilometri a nord di Nouakchott, la capitale mauritana, un’imbarcazione con circa 160 migranti a bordo si è capovolta. Secondo un alto funzionario della guardia costiera, i passeggeri, scorgendo le luci di una città costiera, si sono spostati su un lato dell’imbarcazione, provocandone il ribaltamento. Solo 17 persone sono state tratte in salvo. Il bilancio, inizialmente fermo a 49 vittime, è salito a 69, con ancora decine di dispersi. L’imbarcazione era partita una settimana prima dal Gambia, trasportando cittadini senegalesi e gambiani diretti, con ogni probabilità, verso le coste europee.
La rotta atlantica, che collega l’Africa occidentale alle Isole Canarie, è tra le più letali al mondo. Le forti correnti oceaniche e le imbarcazioni precarie, spesso sovraffollate e inadeguate, trasformano il viaggio in una roulette russa. Secondo l’Ong Caminando Fronteras, nel solo 2024 almeno 10.457 migranti hanno perso la vita tentando di raggiungere la Spagna via mare. Molti di loro, provenienti da paesi come Senegal e Gambia, attraversano la Mauritania, un crocevia migratorio dove il deserto del Sahara e l’oceano rappresentano sfide mortali. Temperature che superano i 45 gradi e imbarcazioni fatiscenti sono solo alcune delle insidie che i migranti affrontano, spinti dalla povertà e dalla mancanza di prospettive.
Mentre il mare restituisce i corpi, un rapporto di Human Rights Watch, pubblicato mercoledì e citato dal Guardian, getta ombre inquietanti sulla gestione dei migranti in Mauritania. L’organizzazione denuncia abusi sistematici da parte delle forze di sicurezza mauritane, finanziate con 210 milioni di euro dall’Unione Europea nel 2024 per contenere i flussi migratori. Il rapporto di 142 pagine descrive “misure di contenimento prolungate e dolorose, privazione di cibo e acqua e altri maltrattamenti” inflitti ai migranti. Queste accuse sollevano interrogativi sul costo umano delle politiche di esternalizzazione delle frontiere europee, che delegano ai paesi africani il controllo dei flussi migratori.
La tragedia di martedì non è un episodio isolato, ma l’ennesimo capitolo di una crisi migratoria che sembra senza soluzione. La Mauritania, con il suo territorio desertico e le coste battute da correnti imprevedibili, è solo uno dei tanti nodi di una rete migratoria che collega l’Africa subsahariana all’Europa. Le autorità locali non hanno chiarito la destinazione precisa dell’imbarcazione naufragata, ma il sogno di una vita migliore in Europa accomuna migliaia di persone che ogni anno sfidano il mare e il deserto. Intanto, le denunce di abusi aggiungono un ulteriore strato di complessità a un problema che richiede risposte urgenti.
Riflessioni finali
Mentre le operazioni di ricerca continuano al largo della Mauritania, il naufragio di martedì ci costringe a guardare in faccia una realtà scomoda: le vite perse in mare sono il prezzo di un sistema che non funziona. Le accuse di Human Rights Watch amplificano il bisogno di un approccio più umano alla gestione dei flussi migratori. Fino a quando i governi non troveranno alternative alle politiche di contenimento e alle traversate della morte, il mare continuerà a inghiottire speranze. Riuscirà l’Europa a rispondere con soluzioni che non si limitino a finanziare muri, fisici o burocratici, nei paesi di transito?