Torino, 14 donne fotoreporter internazionali raccontano la guerra

Torino, 14 donne fotoreporter internazionali raccontano la guerra
6 ottobre 2016

La guerra non è un affare per solo per uomini. Le donne si trovano spesso in prima linea e non solo come civili inermi, ma come soldatesse e come fotoreporter. Raramente se ne parla, soprattutto delle fotoreporter in zone di guerra, mestiere considerato appannaggio dei maschi. A colmare questa lacuna ci ha pensato Andreja Restek (foto), fotoreporter di guerra croata, torinese di adozione, che ha organizzato a Palazzo Madama (foto)di Torino la mostra “In prima linea – Donne reporter in zone di guerra”. A comporre l’esposizione, che si apre il 7 ottobre, 70 immagini scattate da 14 giovani donne fotoreporter che lavorano per le maggiori testate internazionali e che provengono da diverse nazioni: Italia, Egitto, Usa, Croazia, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Spagna. “La mostra nasce quasi un anno fa per contrastare l’idea che il fotogiornalismo di guerra sia una cosa da uomini. Ho un sacco di colleghe bravissime che lo fanno” racconta Restek. “Non c’è uno sguardo femminile o uno maschile sulla guerra, parlerei piuttosto di differenze culturali e diverse sensibilità. Linda Dorigo racconta il Kurdistan senza mostrarti quasi un fucile e c’è chi ti racconta la guerra mostrandoti anche i morti. Siamo molto molto diverse, l’una dall’altra, ma non si tratta di sguardi maschili o femminili”. Oltre agli ascatti della Restek, a Torino si potranno ammirare quelli di Iana Zeyneb Alhindawi, Alison Baskerville, Matilde Gattoni, Jody Hilton, Monique Jacques, Shelly Kittleson, Maysun e Annabell Van Den Berghe, che ha firmato la foto sulla locandina della mostra. Dopo aver intrapreso studi sul medio Oriente, nel 2011 Van Den Berghe ha documentato la rivoluzione egiziana: “Mi sono dedicata agli studi sul Medio Oriente e questo è il motivo per cui m sono recata lì. Dove ho notato così’ tante differenze tra il mio mondo, il mio paese che è il Belgio, e il mondo che stavo studiando che ho subito sentito di dover costruire una sorta di ponte. E così ho iniziato a scrivere storie e scattare foto, raccontando la vita quotidiana in Egitto, dove vivevo. E ho iniziato corrispondenze sulla rivoluzione per la tv e la radio, volevo spiegare ai Belgi cosa stava succedendo ma anche la vita quotidiana d persone così lontane da noi” ha spiegato ad Askanews.

“C’è il pregiudizio che la guerra sia una cosa da uomini e che solo loro lottino. Ma in Medio Oriente ci sono molte donne soldato e anche le donne che non combattono vivono la guerra sulla loro pelle, impegnate a proteggere se stesse e i loro figli, sia che siano in prima linea sia che siano a casa loro. In particolare in Siria le donne sono scese in campo perché’ volevano fare qualcosa per il loro paese” ha aggiunta la fotoreporte belga. Molti degli scatti in mostra raccontano il conflitto siriano, una guerra tra le più dure, come racconta Maysun, fotografa spagnola di origine palestinese: “Lo spartiacque è la guerra in Siria. Per me c’è un prima e un dopo. Ho coperto diversi conflitti, ma la guerra in Siria mi ha cambiato come persona e come fotogiornalista. Ho imparato cose, ho perso cose, ho perso persone. Questo non vuol dire che altri conflitti siano meno importanti, ma in termini di luoghi scioccanti in cui ho lavorato, beh la Siria ha vinto il primo premio”. E la paura è una delle migliori alleate dei fotoreporter di guerra, ci dice Andreja Restek: “La paura è la mia migliore amica, perché mi salva dalle situazioni pericolose. Mi sono sempre detta spero un giorno di aver il buon senso di smettere con questo lavoro quando non avrò più paura. Io ho iniziato tardi, perché sono una mamma e ho aspettato che mia figlia crescesse e che anche io fossi pronta”. Un lavoro quello del fotoreporter di guerra che necessita di una grande preparazione: fisica, mentale, ma soprattutto occorre studiare a fondo la realtà che si vuole documentare e preparare il viaggio nei minimi dettagli. Occorre non dimenticare mai il senso della misura e il rispetto, secondo Restek. “Si’ io a volte mi fermo e non scatto, mi fermo davanti al dolore di una donna che ha perso la sua famiglia. Certo sarebbe uno scatto dal punto di vista mediatico interessante. Mi fermo perché ci vuole profondo rispetto davanti alle tragedie altrui”. La mostra, ospitata a Palazzo Madama, si apre domani 7 ottobre e si chiude il 13 novembre.

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