Tre elezioni in tre anni, la Spagna di Sánchez non trova alleati e torna al voto

Tre elezioni in tre anni, la Spagna di Sánchez non trova alleati e torna al voto
Pedro Sanchez
19 settembre 2019

Pedro Sanchez ci riprova: non sono bastate tre elezioni in tre anni, né cinque mesi di trattative per evitare l’ennesimo ricorso alla volontà degli elettori che – sondaggi alla mano – ne avrebbero fatto volentieri a meno ritenendo di averla abbondantemente espressa lo scorso 28 aprile con un preciso mandato di coalizione progressista fra socialisti e Unidas Podemos. Ma tanto il Psoe e la controparte conservatrice del Partido Popular non si sono affatto rassegnati alla fine del bipolarismo e prima ancora di governare il Paese la loro priorità è quella di tornare ad essere le forze egemoni del proprio schieramento, ovvero attualmente un centro e una destra ai quali solo con molta buona volontà si potrebbero rispettivamente accostare il qualificativo di “sinistra” e rimuovere il prefisso “ultra”; il concetto di “coalizione” rimane ancora estraneo al loro vocabolario.

L’intera manovra di Sanchez risulta infine nient’altro che un nuovo lancio di dadi per vedere se dalle urne possa uscire un risultato migliore del precedente, senza tener conto del fatto che il 10 novembre il panorama politico potrebbe risultare ancora più avvelenato dopo la sentenza ai leader indipendentisti catalani – e soprattutto scegliendo di ignorare il rischio di un forte aumento dell’astensione nella propria base. Oltre al Psoe, sempre che i sondaggi riflettano accuratamente la realtà, a guadagnare dal ritorno alle urne sarà solo il Pp, per il semplice fatto che peggio di così è difficile che possa andare: ma per entrambi il ritorno al paradiso perduto di governi a maggioranza assoluta o con l’appoggio esterno di pochi e minuscoli partiti satellite e senza pretese rimane un miraggio. Il massimo risultato che i socialisti sono in grado di ottenere dal voto è quantificabile in una ventina di seggi, ma probabilmente non oltre un totale di 140: ben lontani dalla maggioranza assoluta di 176.

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Inoltre, la maggior parte arriverebbe a spese di UP, quindi il totale delle due forze non cambierebbe – anche se cambierebbe il rapporto di forza fra i due partiti, e questo è uno degli obbiettivi di Sanchez. Ma tenendo conto che dopo la sentenza del processo i circa 15 voti di Erc non saranno più disponibili, l’equilibrio complessivo per l’investitura non cambia: l’unico modo per ottenere un guadagno netto che possa portare Sanchez a non dipendere dai partiti catalani o baschi è sottrarrre voti anche a Ciudadanos, motivo per cui negli ultimi tempi il Psoe ha decisamente virato verso il centro. Certo però che riuscire a ragranellare preferenze nello stesso tempo sia a sinistra che a destra appare difficile, anche appellandosi ancora una volta al voto utile. Il rischio principale è un aumento dell’astensione in una base che aveva già indicato le proprie preferenze – il che aprirebbe le porte persino all’ipotesi, fin qui esclusa dai sondaggi, di una destra maggioritaria.

PP – Per Pablo Casado la mission è analoga: indebolire C’s (con la possibile e volonterosa collaborazione del Psoe) ed emarginare l’ultra destra di Vox, mediante il semplice espediente di radicalizzare ulteriormente le proprie posizioni fino a rendere le differenze irrilevanti – ovvero, di riappropriarsi di una parte del proprio elettorato naturale. Un obiettivo che appare tutto sommato raggiungibile, sondaggi alla mano, se non altro per le difficoltà interne di Ciudadanos: le possibilità di un ritorno al governo appaiono remote, ma quelle di un ritorno ad essere la seconda forza in Parlamento e capofila della destra molto meno.

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CIUDADANOS – Il partito di Albert Rivera appare a priori il principale perdente del ritorno alle urne: sia Psoe e Pp non aspettano altro che di strappargli i voti degli scontenti, che non sono pochi perché la linea politica dei “naranja” è stata tutt’altro che lineare. Dall’intransigenza assoluta verso la sinistra Rivera – alle prese con un vero e proprio esodo fra la dirigenza – è passato ad una graduale apertura culminata con l’offerta dell’ultimo minuto di un accordo che aveva tutta l’aria di un disperato tentativo di evitare un voto che difficilmente sarà foriero di buone notizie.

UNIDAS PODEMOS – Anche il partito di Pablo Iglesias ha tutto da perdere, a rischio di pagare l’appello al voto utile nonché la tesi sbandierata dal Psoe della responsabilità ultima di Up nel fallimento delle trattative: limitare il travaso dei voti appare il massimo risultato possibile. Se anche dovesse uscirne ridimensionato, Iglesias può tuttavia consolarsi col fatto che se vuole governare, Sanchez non potrà non passare da lui e un ulteriore fallimento potrebbe risultare intollerabile all’elettorato socialista.

I PARTITI CATALANI – Infine, un ultimo aspetto che sottolinea una tendenza precisa della politica spagnola negli ultimi quattro anni: i partiti catalani, nazionalisti o indipendentisti che siano (nonché la sinistra radicale basca di Bildu), vanno tenuti fuori dal gioco. Se la destra li considera inaffidabili quando non direttamente sediziosi, per il Psoe risultano un alleato troppo scomodo sia perché lo espone alle accuse di cedere ai ricatti, nell’eventualità di una qualunque concessione, sia perché – soprattutto – neanche i socialisti hanno una proposta per risolvere la crisi catalana: nascondere il problema come fatto negli ultimi anni, salvo delegare alla magistratura la repressione pura e semplice, appare ancora l’unica politica che Madrid ha intenzione di perseguire. Dopo la sentenza del processo ai leader catalani, sarà ancora più difficile. askanews

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