L’affondo di Trump all’Europa: “Tra vent’anni sarete irriconoscibili”. Bruxelles è il problema
Dalla Casa Bianca arriva il documento che ridisegna gli equilibri mondiali
Donald Trump
Washington torna a scuotere il Vecchio Continente con un documento che lascia poco spazio alle interpretazioni. La nuova Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, pubblicata ieri dalla Casa Bianca, traccia per l’Europa un futuro allarmante e punta il dito contro Bruxelles, ritenuta incapace di affrontare le sfide migratorie, il crollo demografico e la perdita delle identità nazionali. L’Amministrazione Trump denuncia “aspettative irrealistiche” dei funzionari europei sulla guerra in Ucraina e parla apertamente di una “progressiva erosione della civiltà europea”.
Il documento firmato dal presidente Trump rappresenta un cambio di paradigma radicale nella politica estera americana. “Negli ultimi nove mesi, abbiamo salvato la nostra nazione – e il mondo intero – dall’orlo della catastrofe”, scrive Trump nel preludio. “Nessuna amministrazione nella storia ha realizzato un cambiamento così radicale in così breve tempo”. L’inquilino della Casa Bianca rivendica con orgoglio la svolta impressa alla strategia statunitense: “L’America è di nuovo forte e rispettata, e grazie a questo stiamo portando pace in tutto il mondo”. Il mantra resta sempre lo stesso: “In ogni nostra azione, mettiamo l’America al primo posto”.
Europa nel mirino: Bruxelles è il problema
Nel mirino di Washington c’è soprattutto l’Unione europea. Il documento non usa giri di parole: Bruxelles viene considerata parte del problema più che della soluzione. Secondo l’analisi americana, le azioni dell’UE e di altri organismi transnazionali minano la libertà politica e la sovranità nazionale. Le politiche migratorie stanno trasformando il continente e creando tensioni. Si censura la libertà di espressione e si reprime l’opposizione politica. Il calo demografico avanza inesorabile, mentre le identità nazionali e la fiducia collettiva si sbriciolano. Il verdetto è implacabile: “Se le tendenze attuali continueranno, il continente sarà irriconoscibile entro vent’anni o meno”. Non è quindi scontato, avverte il rapporto, che alcuni paesi europei possano mantenere economie e forze militari sufficientemente forti da restare alleati affidabili.
La Casa Bianca osserva con preoccupazione questa deriva. “Gli Stati Uniti desiderano che l’Europa rimanga europea, recuperi la propria fiducia civica e abbandoni il fallimentare approccio basato sul soffocamento regolamentare”, si legge nel testo. La mancanza di fiducia in sé stessa è particolarmente evidente nel rapporto con la Russia, nonostante gli alleati europei godano di un significativo vantaggio militare rispetto a Mosca su quasi tutti i fronti, ad eccezione delle armi nucleari. A causa della guerra in Ucraina, le relazioni europee con la Russia sono profondamente compromesse, e molti europei considerano Mosca una minaccia esistenziale.
Nato, basta espansioni: serve realismo
Per gli Stati Uniti, il rilancio europeo passa attraverso quattro direttrici precise. Primo: una ridefinizione del rapporto con la Russia. Secondo: una reale assunzione di responsabilità da parte dei Paesi europei in materia di difesa. Terzo: una maggiore apertura dei mercati dell’UE ai beni e servizi americani. Quarto: l’abbandono dell’idea di una NATO destinata a espandersi indefinitamente. Quest’ultimo punto segna una rottura netta con il passato. La NATO non deve essere più percepita “come alleanza in continua espansione”, ribadisce il documento. In una visione del mondo che rimette al centro lo Stato-nazione e ridimensiona il ruolo delle istituzioni sovranazionali, Washington vuole alleati responsabili, non vassalli bisognosi di protezione perpetua.
Ciononostante, esiste un impegno di Washington per ripristinare “l’antica grandezza” del Vecchio continente. “L’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti”, si legge. “Gli Stati Uniti sono, comprensibilmente, legati sentimentalmente al continente europeo – e, naturalmente, a Gran Bretagna e Irlanda”. L’Amministrazione Trump ritiene che “la crescente influenza dei partiti europei patriottici rappresenta un motivo di grande ottimismo” per la futura rinascita europea. L’obiettivo dichiarato è “aiutare l’Europa a correggere la propria traiettoria attuale”, perché gli Stati Uniti hanno bisogno di “un’Europa forte per competere con successo e per collaborare con noi nel prevenire che qualsiasi avversario domini il continente”.
Ucraina, priorità assoluta: stop alla guerra
Sul conflitto ucraino, la posizione americana è cristallina. “È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina”, si legge nella Strategia. Gli obiettivi sono molteplici: stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation involontaria o l’espansione della guerra, ristabilire la stabilità strategica con la Russia e consentire la ricostruzione post-bellica dell’Ucraina per garantirne la sopravvivenza come stato vitale. Gestire le relazioni tra Europa e Russia richiederà un impegno diplomatico significativo da parte degli Stati Uniti, sia per ristabilire condizioni di stabilità strategica sull’intera Eurasia, sia per ridurre il rischio di conflitto tra Russia e stati europei.
La politica estera del presidente Trump viene definita “pragmatica senza essere pragmatista, realistica senza essere realista, fondata su principi senza essere idealista, decisa senza essere bellicosa e misurata senza essere pacifista”. Non si basa su ideologie politiche tradizionali, ma è motivata soprattutto da ciò che funziona per l’America. In due parole: “America First”. Trump utilizza “una diplomazia non convenzionale, la potenza militare americana e leve economiche per estinguere chirurgicamente focolai di divisione tra nazioni dotate di armi nucleari e guerre violente causate da odi secolari”. Un mondo in fiamme, dove le guerre arrivano sulle coste americane, è contrario agli interessi di Washington.
Indo-Pacifico e Sud America: i nuovi teatri
Nell’analisi della postura statunitense nello scenario globale, il documento individua nel Sud America e nell’Indo-Pacifico i principali teatri strategici per Washington, ridimensionando il focus sul Medio Oriente. “L’Indo-Pacifico è e continuerà a essere uno dei principali campi di battaglia economici e geopolitici del secolo a venire”, si legge. Questo è il terreno di scontro con il principale competitor degli Stati Uniti: la Cina. “Il presidente Trump ha invertito da solo oltre tre decenni di supposizioni errate degli Stati Uniti riguardo la Cina”, afferma la Casa Bianca. L’idea che aprendo i mercati alla Cina e delocalizzando la produzione industriale si sarebbe facilitato l’ingresso di Pechino nell’ordine internazionale basato sulle regole “non è accaduto”. La Cina è diventata ricca e potente, e ha utilizzato la sua ricchezza e il suo potere a proprio vantaggio.
Le élite americane in quattro amministrazioni consecutive di entrambi i partiti sono state o facilitatori consenzienti della strategia cinese, o in negazione della realtà, osserva il documento. In questo contesto, è fondamentale un focus costante sulla deterrenza per prevenire la guerra nell’Indo-Pacifico. Prioritario per la Casa Bianca è prevenire un conflitto su Taiwan, idealmente mantenendo un vantaggio militare. Per l’Emisfero Occidentale, gli obiettivi possono essere riassunti in due parole: “Arruolare ed Espandere”. Arruolare significa coinvolgere amici consolidati per controllare la migrazione, fermare i flussi di droga e rafforzare la stabilità. Espandere significa coltivare nuovi partner, aumentando l’attrattiva degli Stati Uniti come partner economico e di sicurezza preferenziale.
Corollario Trump alla dottrina Monroe
L’Amministrazione ha delineato quello che viene definito un “Corollario Trump” alla Dottrina Monroe. “Gli Stati Uniti devono essere preminenti nell’Emisfero Occidentale, condizione essenziale per la nostra sicurezza e prosperità”, si legge. I termini delle alleanze e di qualsiasi forma di aiuto devono dipendere dalla riduzione dell’influenza ostile esterna, dal controllo di installazioni militari, porti e infrastrutture critiche, all’acquisizione di asset strategici. Gli obiettivi di Washington sono chiari: garantire che l’Emisfero Occidentale rimanga sufficientemente stabile da prevenire migrazioni di massa verso gli Stati Uniti; avere governi che collaborino contro narco-terroristi e cartelli; un emisfero libero da incursioni ostili o dal controllo straniero di asset strategici; garantire l’accesso a località strategiche chiave.
La Casa Bianca vuole inoltre fermare e invertire i danni che attori stranieri infliggono all’economia americana, mantenendo l’Indo-Pacifico libero e aperto, preservando la libertà di navigazione e garantendo catene di approvvigionamento sicure. Altri obiettivi includono impedire a una potenza ostile di dominare il Medio Oriente, le sue risorse energetiche e i punti di passaggio strategici, evitando le “guerre infinite” che hanno intrappolato gli Stati Uniti nella regione a costi enormi. Infine, garantire che la tecnologia e gli standard statunitensi, in particolare nell’intelligenza artificiale, nella biotecnologia e nel calcolo quantistico, guidino il progresso mondiale.
Medio Oriente ridimensionato, Africa da rilanciare
Sul Medio Oriente, la Casa Bianca opera un ridimensionamento strategico. “I giorni in cui il Medio Oriente dominava la politica estera americana sono fortunatamente finiti”, si legge nel documento. Non perché la regione non conti più, ma perché non rappresenta più la costante irritazione e la potenziale fonte di catastrofe che era un tempo. “La chiave per relazioni di successo con il Medio Oriente è accettare la regione, i suoi leader e i suoi stati così come sono, lavorando insieme su aree di interesse comune”. Per almeno mezzo secolo, la politica estera americana ha dato priorità al Medio Oriente rispetto a tutte le altre regioni. Le ragioni erano ovvie: principale fornitore mondiale di energia, teatro della competizione tra superpotenze, regione di conflitti che minacciavano di espandersi al resto del mondo.
Oggi almeno due di queste dinamiche non sono più valide. Le forniture energetiche si sono notevolmente diversificate, con gli Stati Uniti che sono tornati a essere un esportatore netto di energia. La competizione tra superpotenze ha lasciato spazio al gioco tra grandi potenze, in cui gli Stati Uniti mantengono la posizione più invidiabile, rafforzata dalla rivitalizzazione delle alleanze nel Golfo, con altri partner arabi e con Israele. La regione sta emergendo come un luogo di partenariato, amicizia e investimenti, una tendenza da accogliere e incoraggiare. Per l’Africa, infine, Washington intende riformare la propria politica, passando da un approccio basato sugli aiuti a uno centrato su investimenti e commercio. L’obiettivo è mitigare conflitti, favorire partenariati affidabili, sfruttare risorse naturali e sviluppare settori strategici come energia e minerali critici, senza impegnarsi in presenze militari a lungo termine.
