Gli Stati Uniti sono stufi di chiacchiere. Il presidente Donald Trump non ha più intenzione di partecipare a incontri inconcludenti e pretende risultati concreti per porre fine alla guerra in Ucraina. Lo ha chiarito oggi la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, lasciando in sospeso la presenza americana al vertice di Parigi previsto per sabato. Mentre Washington mostra insofferenza, a Kiev si lavora alle garanzie di sicurezza con i negoziatori statunitensi, ma le distanze restano enormi.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha confermato che sono in corso trattative sulle garanzie per il suo Paese. Gli incontri con la delegazione americana hanno portato a una prima intesa sulla dimensione delle forze armate: 800mila soldati, cifra concordata con i vertici militari. “Credo che oggi abbiamo sufficientemente definito questo punto”, ha dichiarato Zelensky secondo l’agenzia Suspilne. Ma su tutto il resto regna il disaccordo.
Le questioni territoriali rappresentano il nodo più intricato. Mosca vuole l’intero Donbass, richiesta che Kiev respinge senza esitazioni. Gli americani stanno tentando di mediare proponendo una “zona economica libera” – definizione che i russi traducono in “zona smilitarizzata” – nelle aree del Donbass attualmente controllate dall’Ucraina. Una proposta che Zelensky giudica inaccettabile nella forma attuale.
“La nostra posizione nel piano è equa: ci troviamo dove siamo, cioè sulla linea di contatto”, ha spiegato il leader ucraino durante un briefing con giornalisti internazionali, tra cui il Guardian. Il problema centrale è la sicurezza: Washington chiede a Kiev di ritirare le proprie truppe dalla regione, ma non offre garanzie sufficienti che i russi non riempiano immediatamente il vuoto. “Cosa tratterrà i russi? O cosa impedirà loro di travestirsi da civili e prendere il controllo?”, si è chiesto Zelensky. Senza risposte credibili, il piano resta respinto.
Il presidente ucraino ha poi posto un’altra condizione invalicabile: qualsiasi compromesso territoriale dovrà passare attraverso un voto popolare, che sia un referendum o elezioni. “Deve esserci una posizione del popolo ucraino”, ha ribadito. Un vincolo che complica ulteriormente il quadro, considerando che l’opinione pubblica ucraina resta compattamente contraria a cessioni di territorio.
Intanto sul campo la situazione pende dalla parte russa. Vladimir Putin ha dichiarato che “l’iniziativa strategica è interamente nelle mani delle forze armate russe” durante un incontro sulla situazione nelle zone di guerra. Mosca ha anche rivendicato la conquista di Seversk, località del Donetsk, consolidando il controllo sul fronte orientale. La pressione militare rafforza la posizione negoziale del Cremlino, che può permettersi di alzare il prezzo.
Sul fronte diplomatico, l’Europa prova a rimanere protagonista. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha definito “decisiva” la prossima settimana per i negoziati, al termine di giorni “molto intensi” di contatti con i partner della Coalizione dei Volenterosi. Bruxelles mantiene ferma la linea: pace “giusta e sostenibile”, senza “semi di futuri conflitti” né rischi per l’architettura di sicurezza europea. Le garanzie, ha insistito von der Leyen, devono essere “robuste e credibili”.
La presidente ha anche aggiornato gli alleati sui lavori per assicurare nuovi finanziamenti all’Ucraina nel biennio 2026-2027. “Le nostre proposte sono sul tavolo, e il senso di urgenza è chiaro a tutti”, ha affermato, promettendo contatti continui nei prossimi giorni per consolidare un percorso comune. Resta l’incognita americana. “Se riterremo che questo incontro sia degno della presenza degli Stati Uniti questo fine settimana, allora invieremo un rappresentante. È ancora incerto”, ha tagliato corto Leavitt. Trump vuole azione, non cerimonie diplomatiche. La prossima settimana dirà se la pazienza della Casa Bianca può ancora reggere.