Politica

Trump riaccende la guerra delle parole: “Non spendiamo più soldi per l’Ucraina”. E il vertice con Putin nel mirino

Nello Studio Ovale, tra battute e minacce velate, Donald Trump ha riaperto una delle ferite più profonde del dibattito strategico americano: non è più tempo di difesa, ma di attacco. Mentre annuncia la fine del sostegno all’Ucraina e rivendica incontri segreti con Vladimir Putin, il presidente Usa scuote l’ordine geopolitico con una sola frase: “Chiamiamolo Dipartimento della Guerra”.

Il simbolo conta. E per Trump, il nome “Dipartimento della Difesa” suona come una resa. “Una volta era il Dipartimento della Guerra. Aveva un suono più forte”, ha tuonato rivolto al segretario alla Difesa Pete Hegseth, in una registrazione riportata dal New York Times. “Ora abbiamo il Dipartimento della Difesa… Non vogliamo solo Difesa, ma anche attacco”. Una dichiarazione che va ben oltre la retorica: è un manifesto programmatico. Un ritorno all’era delle guerre totali, in cui la forza non si giustifica, si impone.

E se il nome è un segnale, il contenuto è una bomba. “Non spendiamo più soldi per l’Ucraina”, ha dichiarato Trump, accusando l’amministrazione Biden di aver “spennato” gli Stati Uniti. Una retromarcia netta rispetto alla linea bipartisan che ha sostenuto Kiev per oltre due anni. E un colpo diretto all’alleanza atlantica, mentre l’Europa continua a mobilitare risorse e consenso.

Zelensky, intanto, non arretra. In una conferenza stampa con il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre, ha chiesto un miliardo di dollari al mese dagli alleati per l’acquisto di armi americane. “Servono capacità offensive immediate”, ha sottolineato. Un piano ambizioso, che richiede non solo fondi, ma un impegno politico duraturo.

Ma mentre Kiev chiede truppe e garanzie, Washington esita. Le fonti europee vicine ai negoziati, citate dall’Ansa, parlano di “progressi significativi” sul fronte delle garanzie di sicurezza. Ma con una condizione: che siano “giuridicamente vincolanti”. L’Ucraina vuole un meccanismo simile all’articolo 5 della Nato, con truppe europee sul suo suolo e il sostegno logistico degli Usa. Ma Washington pone una domanda cruciale: cosa “innesca” l’intervento?

La risposta non è semplice. L’articolo 5, come ricordano a Bruxelles, non è automatico: richiede un’attivazione collettiva. E su questo punto, la coalizione dei “Volenterosi” – i paesi che sostengono l’Ucraina – è ancora in fase esplorativa. Gli Stati Uniti vogliono sapere cosa gli alleati sono disposti a fare prima di impegnarsi. Una mossa tattica, ma anche un segnale di cautela.

Il sostegno tedesco: 9 miliardi all’anno, ma senza soldati

Il vicecancelliere tedesco Lars Klingbeil, in visita a sorpresa a Kiev, ha rassicurato: “La Germania manterrà un sostegno annuale di 9 miliardi di euro”. Un impegno che vale per il 2025, il 2026 e “oltre”. Di questi, 8,5 miliardi saranno per aiuti militari, il resto per civili e rifugiati. Un pacchetto imponente: dal 2022, Berlino ha stanziato 50 miliardi, metà dei quali per l’accoglienza.

Klingbeil ha chiesto “garanzie di sicurezza affidabili” e un cessate il fuoco. Ma ha evitato di rispondere sulla possibilità di inviare truppe tedesche in Ucraina. Un silenzio eloquente. Il cancelliere Friedrich Merz, pur sostenitore di Kiev, non ha mai chiarito la posizione della Bundeswehr. “Putin non dovrebbe farsi illusioni: il sostegno della Germania non vacillerà”, ha ammonito Klingbeil. Ma la pressione aumenta. La Russia ha respinto l’ipotesi di un vertice con Zelensky, dopo i tentativi di Trump di forzare un incontro.

E proprio sul vertice, Trump ha lanciato un’altra provocazione: “Putin è riluttante a incontrare Zelensky perché non gli piace”. “Anch’io ho persone che non mi piacciono, e non mi piace incontrarle”, ha aggiunto, con tono quasi paternalistico. Una banalizzazione che stride con la gravità del conflitto. Ma per Trump, è una strategia: ridurre la guerra a un affare personale tra leader. “Se fossi stato presidente, non sarebbe mai successo”, ha ripetuto. E ha citato Putin: “Ha detto chiaramente: se Trump fosse stato presidente, non sarebbe successo”.

Una ricostruzione che manca di prove, ma che alimenta il mito del “grande mediatore”. Lavrov, dal canto suo, ha precisato che il vertice è possibile “quando l’agenda sarà pronta”. E ha escluso che debba essere “un’occasione fotografica”.

Pubblicato da
Enzo Marino