Cronaca

Truppe Israele a Gaza, prove d’invasione. Ma su ostaggi si tratta

Truppe e carri armati israeliani hanno lanciato questa notte un breve raid di terra nel Nord di Gaza, colpendo diversi obiettivi del gruppo estremista palestinese Hamas, in modo da “preparare il campo di battaglia” per la vasta operazione di terra attesa da giorni, poi rimandata, e ieri sera dichiarata pronta e con una data certa, seppur non specificata, dal premier Benjamin Netanyahu. L’incursione è stata confermata dalle Forze di difesa israeliane negli stessi minuti in cui il quotidiano Haaretz ha rilanciato indiscrezioni su trattative avanzate per il rilascio di “un cospicuo numero di ostaggi”.

Un’eventualità che, secondo il giornale, potrebbe realizzarsi addirittura “entro i prossimi due giorni, forse anche prima, a seconda di come andranno i colloqui in corso” mediati dal Qatar. Stando a una stima dell’Idf, le persone trattenute con la forza da Hamas sarebbero 224, tra cui numerosi bambini, di cui il governo ha diffuso nomi e fotografie. Nell’operazione notturna, i carri armati e la fanteria delle forze armate israeliane hanno colpito numerose cellule terroristiche, infrastrutture e postazioni di lancio di missili anticarro. L’incursione è stata breve e, una volta realizzati tutti gli obiettivi del raid, le truppe hanno fatto ritorno in territorio israeliano, ha precisato l’Idf. D’altra parte, i soldati dello Stato ebraico hanno fatto fuoco anche su Khan Younis e Gaza, dove l’aviazione israeliana secondo fonti mediche della Striscia ha preso di mira un complesso di edifici, facendo almeno 17 vittime, decine di feriti e un numero imprecisato di dispersi sotto le macerie. Il ministero della Sanità del territorio controllato da Hamas ha affermato che oltre 6.500 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio delle ostilità.

Intanto, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, UNRWA, ha lanciato un allarme sull’esaurimento – probabile entro oggi – delle scorte di carburante. Una circostanza che minaccia di peggiorare ulteriormente la crisi umanitaria nel territorio palestinese con 2,3 milioni di residenti (e circa 1,4 milioni sfollati dalle proprie case dopo il 7 ottobre). “Le persone si trovano di fronte a scelte impossibili: non ci sono luoghi sicuri a Gaza”, ha confermato d’altra parte Lynne Hastings, coordinatrice delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari a Gaza. Gli ospedali nella Striscia, rimasti a corto di carburante, hanno cominciato a trattare solo casi di emergenza. Ora sono “in uno stato di completo collasso”, secondo Mohammed Abu Selmeya, direttore del più grande centro ospedaliero di Gaza, l’Al-Shifa.

L’Organizzazione mondiale della sanità si è detta “fortemente preoccupata” per le condizioni degli ostaggi catturati da Hamas ed ha chiesto il loro rilascio immediato e l’accesso urgente a ciascuno di loro, assieme alla fornitura di cure mediche. “C’è un impellente bisogno che i sequestratori degli ostaggi forniscano segni di vita, prove di assistenza sanitaria e il rilascio immediato, per motivi umanitari e sanitari, di tutte le persone rapite”, ha affermato il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. Nelle stesse ore, fonti israeliane e straniere hanno riferito ad Haaretz che sarebbero in corso trattative avanzate per il rilascio di un numero significativo di ostaggi, rilascio che potrebbe essere effettuato “entro pochi giorni”, “due o forse anche meno”. Non si conosce ancora con esattezza, in questo momento, quanti prigionieri sarebbero coinvolti. I funzionari di Israele e del Qatar, che sta mediando con il movimento estremista palestinese, vorrebbero ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi civili in una sola volta, senza contropartite da parte dello Stato ebraico. Ma funzionari israeliani ritengono che Hamas potrebbe rilasciare solo alcuni gruppi di persone, lavoratori stranieri, donne, bambini, anziani o persone con problemi di salute.

In una conversazione telefonica con Papa Francesco, intanto, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha chiesto che la Comunità internazionale faccia sentire la propria voce contro i bombardamenti su Gaza, attacchi – ha detto – “che non hanno posto” in nessuna religione e che “hanno raggiunto il livello di un massacro”. Secondo Erdogan, la mancanza di consapevolezza della Comunità internazionale su ciò che sta accadendo “è una vergogna per l’umanità” e “tutti gli Stati dovrebbero sollevare la loro voce contro questa tragedia umana”. Il presidente turco ha anche affermato che la pace permanente nella regione, che ospita i luoghi santi di tre religioni monoteiste, sarà possibile solo con la creazione di uno Stato di Palestina indipendente, sovrano e geograficamente integrato ai confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale.

Dell’attuale situazione, che sarà al centro della riunione del Consiglio europeo di oggi, hanno nuovamente discusso in un nuovo colloquio telefonico il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha sottolineato la necessità di concentrarsi su un percorso di pace duraturo post-guerra. Biden e Netanyahu hanno discusso al telefono degli “sforzi in corso per localizzare e garantire il rilascio degli ostaggi”, compresi i cittadini americani detenuti da Hamas, ed hanno affrontato il tema del “passaggio sicuro dei cittadini stranieri che desiderano lasciare Gaza il prima possibile”, ha riferito la Casa Bianca. Il presidente Biden ha infine ribadito l’impegno degli Stati Uniti a fornire un “sostegno umanitario continuo alla popolazione civile di Gaza” ed ha espresso sostegno per aumentare tale assistenza nel prossimo futuro.

 Un sostegno condannato con forza oggi dalla Nordcorea, che ha rilanciato le accuse a Israele sul presunto bombardamento di un ospedale a Gaza. Lo Stato ebraico ha deliberatamente compiuto un crimine di guerra “sotto il palese patrocinio degli Stati Uniti”, ha accusato Pyongyang, secondo cui Washington “ha dato a Israele il via libera per massacrare i palestinesi senza alcuna preoccupazione”, fornendo armi e supporto militare, compreso lo schieramento di portaerei in Medio Oriente. Accuse che stamane hanno fatto il paio con quelle lanciate dal Parlamento di Tobruk, nell’Est della Libia. Quest’ultimo ha preso di mira gli Stati occidentali che sostengono Israele, tra cui l’Italia, ed ha chiesto ai loro rappresentanti diplomatici di lasciare il Paese. In una dichiarazione pubblicata sul suo sito ufficiale, il parlamento – sostenuto dal generale Khalifa Haftar – ha denunciato “nei termini più forti” le azioni dei “governi di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Italia”, ed ha minacciato di tagliare le forniture energetiche se i “massacri” contro i palestinesi non si fermeranno. askanews

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