Cronaca

Variante sudafricana, ecco perché fa tanta paura

Una variante, particolarmente temibile, con una lista di mutazioni talmente lunga da essere considerata la peggiore mai vista finora. È la Sudafricana, ultima scoperta in ordine di tempo, quella che fra gli scienziati desta maggiori preoccupazioni. Ad oggi oltre 70 i casi pienamente confermati nella provincia di Gauteng in Sudafrica, quattro in Botswana e uno a Hong Kong (direttamente collegato ai viaggi dal Sudafrica), ma secondo gli studiosi è certamente più diffusa: addirittura potrebbe essere già presente nella maggior parte delle province in Sud Africa.

Ma perché questa nuova variante, denominata B.1.1.529 – ma presto le sarà assegnata una lettera dell’alfabeto greco, proprio come alle altre – fa tanta paura agli scienziati? Tanto per cominciare perché questo virus è ora radicalmente diverso dall’originale emerso a Wuhan, in Cina. Ciò significa che i vaccini, che sono stati progettati utilizzando il ceppo originale, potrebbero non essere altrettanto efficaci. Il meccanismo di infezione da parte del virus è quello che abbiamo imparato ormai da molti mesi a conoscere: è la proteina Spike la chiave che consente al virus di penetrare le cellule umane ed è proprio su quella che agiscono i vaccini a mRna o Rna messaggero. La nuova variante presenta una lunga lista di cambiamenti genetici, 50 in tutto. Di questi, 32 sono proprio nella proteina spike del virus – quella bersaglio dei vaccini – ma questa variante ha anche la caratteristica di offrire maggiori possibilità al virus di venire a contatto con le cellule: ha 10 mutazioni rispetto alle sole due per la variante Delta che attualmente è la prevalente in Italia.

“Questa variante è riuscita a metterci di fronte ad uno scenario che francamente preoccupa”, ha ammesso l`infettivologo Massimo Galli su Rai Radio1. “Dobbiamo capire i vari aspetti che stanno emergendo: primo, fondamentale, se è in grado di diffondersi altrettanto rapidamente o più rapidamente della Delta diventando in questo modo un vero competitore della Delta. E questo è un elemento ovviamente di preoccupazione perché, nel momento in cui fosse così, la faccenda diventerebbe seria. Altra cosa che non sappiamo ancora: è possibile, non è certo ma è possibile, che questa variante sia in grado di bucare il vaccino. Io non sono convinto che sia così, però non abbiamo i dati per poterlo dire, è inutile fasciarci la testa prima di essercela rotta, ma è chiaro che dovremmo stare molto attenti anche a questo aspetto”. Una “mezza buona notizia” potrebbe arrivare, secondo Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità epidemiologica all’Università Campus Biomedico di Roma, dal fatto che “questa variante sudafricana sia stata individuata in focolai ben circoscritti. Non c’è una catena di trasmissione: un focolaio è più facile da individuare e bloccare”. Secondo il professore, “possibile che la variante sudafricana sia stata una evoluzione in un ospite immunocompromesso e abbia fatto lì tante mutazioni, poi questa persona ne ha infettate altre ma non è una catena di trasmissione. Una variante analoga l’avevamo trovata a Brescia in un immunocompromesso”.

Preoccupazione, dunque, ma niente panico: secondo gli esperti i vaccini attuali potrebbero non funzionare altrettanto bene, ma questo non significa che offriranno una protezione zero. Versioni aggiornate contro le varianti sono già da tempo in fase di progettazione e sperimentazione. Se dovessero servire, un nuovo vaccino potrebbe essere pronto in poche settimane. Il problema è che, come chiarito dall’infettivologo Stefano Vella, le “varianti si sviluppano dove il virus galoppa”. Di qui l’esortazione, che arriva dalla scienza, all’accesso globale alle vaccinazioni. “Garantire l’accesso globale ai vaccini è interesse di tutti, ci conviene – ha più volte ha sottolineato il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza – perché lasciando correre liberamente il virus si rischia lo sviluppo di varianti più facilmente trasmissibili e contro le quali i vaccini possono essere meno efficaci”.

Aldo Morrone, Direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano (IRCCS) ed esperto di malattie tropicali, lancia l’allarme: non è tanto la variante sudafricana a preoccupare, quanto altri Paesi africani che hanno una percentuale di vaccinati tra lo 0 e l’1%. “In Etiopia, Paese dove è in corso una guerra al confine con l’Eritrea ignorata dall’Occidente e dai Paesi del G20, abbiamo l’1,2% di vaccinati con due dosi – sottolinea Morrone ad askanews – su 112 milioni di abitanti; in Burkina Faso abbiamo lo 0,1%, nell’Africa Occidentale, cioè nei Paesi dove risiede l’Ebola, meno dell’1,2%. È evidente – prosegue l’esperto – che questa situazione se si protrae nel tempo darà luogo a nuove varianti, a mio parere ancora più pericolose. Non per solidarietà, ma per investimento scientifico dovremmo fare in modo che queste popolazioni vengano vaccinate. 

Intanto BioNTech ha annunciato che impiegherà due settimane per valutare l’efficacia del vaccino sviluppato con Pfizer contro l’ultima variante del Covid-19 emersa in Sudafrica che, secondo un portavoce dell’azienda tedesca, “differisce in modo significativo dalle varianti osservate in precedenza”. “Pfizer e BioNTech hanno avviato mesi fa azioni per essere in grado di adattare il vaccino mRNA entro sei settimane e inviare i lotti entro 100 giorni in caso di variante” capace di eludere l’immunità acquisita con il vaccino, ha ricordato il portavoce, citato dal Financial Times.

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