“Voragine Sicilia…”, storie e intrighi di un’Autonomia

“Voragine Sicilia…”, storie e intrighi di un’Autonomia
12 maggio 2016

di Rosario Mancino

copertina loredanaokUna domanda insistente accompagna la lettura del libro di Giovanni Ciancimino e di Loredana Passarello, Voragine Sicilia. Un viaggio nei segreti dell’Autonomia, Nuova Ipsa editore, euro 15,00. Se, cioè, il disfacimento politico, economico e morale in cui versa attualmente la Sicilia – così bene efficacemente illustrato dagli autori – non rappresenti il capolinea di quel binario morto nel quale per decenni, con improvvida dabbenaggine, è stata spinta la Sicilia? La risposta affermativa è ovvia ma non altrettanto scontata rimane oggi la lezione da trarne, dal momento che in certi settori dell’opinione pubblica e del ceto politico si preferirebbe mettere la parola fine all’esperienza della regione a statuto speciale. Un dilemma – quello di mantenere o meno la specialità dell’Isola e, di conseguenza, le prerogative statutarie – che, in realtà, si rivela essere nient’altro che uno specioso esercizio di retorica se non si sdipana a ritroso il filo della storia per scoprire le radici in cui affondano le ragioni ultime di un cosi grave fallimento. Con lo sbarco degli Alleati, il 10 luglio 1943, esplodono le molteplici contraddizioni presenti all’interno della società siciliana. Il separatismo domina la scena politica. Ma fin da subito appare per quello che è. Vale a dire, lo rozzo strumento con cui le classi dominanti dell’Isola intendono misurare la loro influenza sugli Alleati e sugli scenari che ne conseguiranno. Privo di una strategia politica, il movimento di Finocchiaro Aprile sarà però ben presto costretto a lasciare il passo a nuove forze politiche, che sapranno infarcire le loro linee programmatiche di un meridionalismo, per lo più velleitario e di maniera, ma che coniugato con il tema della concessione dell’autonomia alla Sicilia, darà i propri frutti.

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giuseppe alessiL’Isola diventa così regione a statuto speciale. Con tutta la sconsiderata imprevidenza istituzionale messa opportunamente in luce dal libro di Ciancimino e Passarello, pur di rintuzzare, prima, e disperdere, poi, il movimento separatista. E con il neppur tanto velato intento di servirsene, all’occorrenza, come arma di conservazione sociale – nonostante l’innegabile protagonismo, in quei frangenti, delle masse cattoliche e socialcomuniste – rispetto a quelle rivendicazioni che in Italia sembravano essere a portata di mano all’indomani della Liberazione. Tant’è che il vecchio blocco di potere, con spregiudicato tempismo, occupa già tutte le posizioni chiave della politica e dell’economia isolana, perpetuando, nonostante il nuovo abito istituzionale, vecchi vizi e congeniti difetti della società siciliana, che il lettore può scoprire, a proprio piacimento, nel libro. Al primo governo, quello di Giuseppe Alessi (foto), si succederanno in un frenetico vortice numerosi altri governi – durata media in carica meno di un anno – nei quali sovente la necessaria attenzione ai gravosi problemi dell’Isola e alle relative, assillanti richieste di soluzione, lasceranno il posto alle becere alchimie della politica. In tal modo, l’unica cifra chiaramente decifrabile nelle vicende autonomiste siciliane apparirà contrassegnata da un’idea di self – government che, caricandosi di tutto il peso dell’ambiguità, si trasforma in mero strumento di speculativa tattica politica e in cui gli elementi di modernizzazione saranno costretti a fare i conti con le invitte resistenze di interessi corporativi e clientelari, non per forza assimilabili a quelli del ceto politico ma, più frequentemente di quanto si pensi, ascrivibili alla burocrazia, alle cupole mafiose, a certi settori della cosiddetta società civile.

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giarrizzoSi è finiti così per navigare a vista in tutte quelle sedicenti rivoluzioni le quali, alla fine, hanno esclusivamente privilegiato la tattica o, peggio, il tatticismo della politica. Il caso del milazzismo, in quasi settant’anni di Regione a statuto speciale, se certo non il solo, è stato quello più eclatante. Ciancimino e Passarello forniscono un’esauriente ricostruzione della sua ingloriosa fine. Ciò che preme in tale sede sottolineare è, tuttavia, il suo carattere di fenomeno interno alle logiche di potere, in un impalpabile distinguo rispetto ai governi precedenti, per ciò che concerneva i grandi temi economici e sociali dell’Isola. Da farne “una ipotesi – secondo il giudizio dello storico Giuseppe Giarrizzo (foto) – di autonomismo difensivo, che recupera i cascami del meridionalismo deteriore”. Con tali premesse, è chiaro che se fallimento è stato – eccome se lo è stato – non è certo la specialità istituzionale, di cui gode la Sicilia, che deve essere chiamata a discolparsene, ma la imprescrittibile colpevolezza d’intere classi dirigenti. Ciascuno per il proprio ruolo. E senza assolutori salvacondotti per alcuno. Ancor più che, per ciò che riguarda i siciliani, che compongono la cosiddetta opinione pubblica, se vi è stata coscienza dell’Autonomia è un affare – non sempre lecito e trasparente, di cui il libro fornisce alcuni illuminanti esempi – che ha riguardato il grado di cointeressenza nelle opportunità che la Regione a statuto speciale ha offerto loro, con gli ingenti finanziamenti provenienti da Roma, negli anni Cinquanta e Sessanta, o dalla Cassa per il Mezzogiorno fino agli anni Ottanta. Non certo l’orgogliosa rivendicazione di una propria identità culturale, la cui assenza non può non farsi pesantemente avvertire nei periodi di crisi, come l’attuale.

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mattarella piersantiLa panacea dei mali dell’Isola, dunque, non può essere rintracciata nell’abolizione di un sistema autonomistico, che comunque necessita d’indubbie riforme e di una improrogabile definizione in positivo dei propri rapporti finanziari con lo Stato, bensì nelle intrinseche qualità delle proprie classi dirigenti. Che se, però, sono composte “in parte – osservava Franchetti, nel 1876, ma con considerazioni condivisibili ancora oggi – della gente in Europa più gelosa dei privilegi e della potenza che dà, in Sicilia, ancora più che altrove, il nome e la ricchezza”, allora l’esercizio della cosa pubblica diviene soltanto una mera strategia di dominio per conseguire il massimo vantaggio per sé e per una ristretta cerchia di privilegiati. Anche, qualora fosse necessario, non avendo alcuna remora a servirsi della tracotante violenza delle organizzazioni mafiose, parte integrante, per decenni, del blocco di potere egemonico nell’Isola. A tal proposito, sono agghiaccianti le rivelazioni contenute nell’intervista di Ciancimino e Passarello a Salvatore Natoli, costretto alle dimissioni dopo la sua elezione parlamentare a presidente della Regione, o le considerazioni svolte dagli stessi autori per l’omicidio, ancora irrisolto, di Piersanti Mattarella (foto). Con il risultato di trovarci ancora oggi di fronte a una Regione scollata e senza alcun fondamento etico – politico che, dopo settant’anni di Autonomia, ha bisogno di un pungolo esterno – qual è l’occhiuto revisore dei conti, Alessandro Baccei, mandato da Roma – per impegnarsi in una politica di bilancio che porti finalmente ordine ai propri disastrati conti.

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