Politica

Xi a Samarcanda allarga influenza Cina

Xi Jinping esce da protagonista dal summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, che si è concluso a Samarcanda, in Uzbekistan. Il presidente cinese – che ha incontrato tra ieri e oggi una serie di leader tra i quali il presidente russo Vladimir Putin, il presidente iraniano Ebrahim Raisi e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan – ha lodato nel suo discorso lo “spirito di Shanghai”, celebrando il 20mo anniversario della firma della carta costitutiva di questa organizzazione che racchiude quasi un quarto del Pil mondiale e che in questo summit ha accolto l’Iran tra i suoi membri. “Dobbiamo rafforzare il nostro reciproco sostegno”, ha detto Xi, aggiungendo: “Dobbiamo proteggerci dai tentativi di forze esterne d’istigare ‘rivoluzioni colorate’, opporci congiuntamente alle interferenze negli affari interni di altri paesi sotto ogni pretesto e mantenere il nostro futuro fermamente nelle nostre mani”. Una rivendicazione forte, che viene in un momento di particolare caos nella scena globale, come lo stesso Xi ha detto ieri a Putin in un summit che, al di là della sbandierata cordialità tra i due, deve aver lasciato un po’ d’amaro in bocca al presidente russo il quale ha dovuto prendere atto delle “preoccupazioni” cinesi rispetto alla guerra in Ucraina.

Xi ha inoltre sottolineato, parlando con i leader dell’organizzazione nel summit, che è necessario “difendere il multilateralismo, condannando l'”ossessione di formare un piccolo circolo che spinga il mondo verso la divisione e il conflitto”. Un chiaro riferimento agli Stati uniti e all’Occidente, al quale il presidente cinese oppone una visione incentrata sull’Onu: “Noi dobbiamo rimanere fermi nel proteggere il sistema internazionale incentrato sull’Onu e sull’ordine basato sulla legge internazionale, praticare i comuni valori di umanità e respingere il gioco a somma zero e la politica dei blocchi”. Ma dal vertice di Samarcanda Xi esce rafforzato anche rispetto al partner russo. Il 24 febbraio scorso, nel precedente incontro con Putin a Pechino, aveva parlato di un partenariato “senza limiti”. In questo i limiti invece sono apparsi chiari: Pechino non intende impegnarsi più di tanto a sostegno del vicino in difficoltà. Anzi, in controluce si vedono già i contorni di una possibile futura concorrenza tra Pechino e Mosca in un’area cruciale del mondo, che non a caso la geopolitica classica considerava l'”heartland” euroasiatico, cioè l’Asia centrale ricca di risorse minerarie ed energetiche. Nel dopoguerra la parte del leone in questa regione l’ha fatta Mosca. Ma l’indebolimento di Putin, impegnato sul fronte occidentale, dà un’occasione importante alla Cina.

Xi, nella prima tappa del suo viaggio l’altro ieri in Kazakistan, ha segnalato una volontà di un maggiore impegno nella regione e a sostegno della sovranità del paese, col quale ha fatto firmare una raffica di accordi nei settori dell’energia, della logistica, dell’agricoltura. E nella sua due giorni in Uzbekistan ha incontrato una decina di leader regionali. Nell’incontro col presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev, padrone di casa, sono stati firmati accordi per 15 miliardi di dollari. Ha anche fatto passi avanti su alcuni progetti che sono visti con ostilità da Mosca, come il progetto di corridoio logistico trans-Caspio, che deve unire Kirghizistan e Uzbekistan con la regione occidentale cinese dello Xinjiang. Si tratta di un progetto alternativo al corridoio Trans-Eurasia che invece è controllato dai russi. Sebbene, a parole, Xi e i diplomatici cinesi abbiano fatto di tutto per rassicurare i russi rispetto a una volontà di collaborazione nella regione, a Mosca questo sempre più profondo coinvolgimento cinese in quello che un tempo era il giardino di casa deve aver suscitato qualche preoccupazione.

“La Cina e la Russia tradizionalmente hanno svolto ruoli differenti in Asia centrale, con Mosca che forniva la sicurezza per le ex repubbliche sovietiche e Pechino che agiva come motore economico. Ma questa cosa è cambiata dall’inizio del conflitto ucraino”, ha affermato al South China Morning Post l’analista politico Li Lifan, specialista di Russia e Asia central presso l’Accademia delle scienze sociali di Shanghai. “La Cina – ha continuato – ha accresciuto le sue attività in Asia centrale, il che inevitabilmente andrà in conflitto con gli interessi della Russia, sia per controbilanziare gli Usa e i loro alleati nella regione, sia per testare l’influenza di Mosca”. D’altronde l’atteggiamento dei paesi centro-asiatici rispetto alla questione dell’Ucraina è significativo. Sostanzialmente tutti hanno assunto la stessa posizione della Cina: no a un’esplicita condanna dell’invasione russa in sede Onu, ma nessun particolare sostegno per alleggerire le sanzioni o militare. Il Kazakistan, alleato tradizionale di Mosca, ha addirittura aderito alle sanzioni occidentali.

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