Alleanza Nazionale, vince la Meloni: simbolo è di Fratelli d’Italia

2 maggio 2014

SI conslude la battaglia legare. Biava: «Era evidente l’assenza di presupposti per il ricorso». Matteoli: “Questione superata, pensiamo a tempi più importanti”

Anche il Tar del Lazio è d’accordo: Fratelli d’Italia correrà alle elezioni europee con il simbolo integrale di Alleanza Nazionale. La sentenza del Tribunale amministrativo è arrivata ieri, per firma del presidente della terza sezione civile di Roma, Francesco Mannino. Il ricorso era partito dalla fronda di minoranza della Fondazione Alleanza Nazionale, su iniziativa dell’avvocato Roberto Ruocco, esponente di Forza Italia, alla quale si erano associati gli ex finiani Antonio Buonfiglio e Enzo Raisi.
La delibera contestata è quella approvata lo scorso 14 dicembre 2013, durante l’assemblea di fuoco (con tanto di “accenni” di rissa), che di fatto ha assegnato al partito di Giorgia Meloni, Fabio Rampelli e Gianni Alemanno, per un anno e a scopi elettorali, il simbolo conteso sin dal 2008, quando avvenne la “fusione” con il Pdl. Una seduta molto sofferta quella del dicembre scorso, dicevamo, che si concluse con l’approvazione della delibera all’unanimità, in quanto gli oppositori abbandonarono polemicamente l’assemblea. Proprio quel voto, “parziale e illegittimo” secondo chi lasciò anzitempo l’Hotel Ergife, è stato impugnato magari auspicando una sospensiva che avesse potuto mettere i bastoni fra le ruote al movimento a ridosso delle europee. Cosa che invece non si verificherà, visto che eventuali ricorsi al Consiglio di Stato non potranno trovar sentenza entro il mese di maggio.

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“Nella fattispecie – scrive il giudice amministrativo in un passaggio della sentenza – appare essere stato rispettato il requisito del numero minimo legale dei partecipanti, ove si consideri che esso, per previsione statutaria, deve essere calcolato non in base al numero complessivo degli aderenti, ma solo in relazione al numero di coloro che abbiano regolarmente assolto agli obblighi di rimborso spese e di contributo stabiliti dal consiglio di amministrazione. Dalla documentazione prodotta, invero, emerge che i presenti all’assemblea erano 306 su 693 aventi diritto al voto e che la mozione venne approvata con 290 voti”. Infine, scrive ancora il Tar “è da rilevare che l’assemblea, da statuto, non approva con deliberazioni immediatamente applicabili ma “mozioni da riportarsi, a cura del presidente, al consiglio di amministrazione per gli adempimenti conseguenti”, mozioni che non hanno effetti giuridici”. Dunque al tribunale spetta soltanto stabilire se “gli scopi della deliberazione rientrino negli interessi della fondazione” ma “non sindacare la scelta effettuata a favore dell’associazione (Fratelli d’Italia, ndr)”.
E non è un caso che chi fra gli ex An all’epoca si oppose alla decisione, oggi veste la maglia di Forza Italia o quella del Nuovo Centrodestra di Alfano. “Nelle cinque pagine di motivazioni – spiega Marco Marsilio, ex deputato ed attuale segretario amministrativo e rappresentante legale di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale – Il giudice non solo non si è limitato a constatare l’inesistenza di ragioni cautelative che potessero giustificare la sospensiva, ma ha ampiamente argomentato la sua decisione, smontando le tesi dei correnti e prefigurando anche il giudizio di merito, ovvero la piena legittimità della delibera assunta dalla Fondazione Alleanza Nazionale e il diritto incontestato di Fratelli d’Italia di utilizzare il simbolo e la denominazione di An”.

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Grande soddisfazione da parte del vicepresidente della Fondazione Alleanza Nazionale, Francesco Biava. Non tanto, a quanto lascia intendere, perché oggi è candidato alle elezioni europee proprio con Fdi-An, ma in quanto “si è conclusa con un nulla di fatto l’ennesima causa contro la Fondazione”. “Mi lascia stupito, e con un po’ di amaro in bocca – afferma Biava – l’acredine e il rancore che persone che hanno fatto scelte diverse, legittime e rispettabili, nutrano verso la nostra decisione di creare un nuovo partito di destra. Era evidente che non vi fossero i presupposti per un ricorso del genere. A questo punto credo che chi ha deciso di prendere altre strade non sia del tutto sicuro delle sue scelte”.
E la “parte avversa”? Per il momento tutto tace. Dall’entourage di Altero Matteoli, ad esempio, affermano che “ormai la questione non è più di grande interesse, dunque ci concentriamo su altri temi ben più importanti”. Prende tempo invece il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri: “Non ho letto la sentenza e non credo che la leggerò nelle prossime ore. Quando la visionerò, valuterò se ci sarà qualcosa da dichiarare”. (Il Tempo)

 

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