Di Maio aspetta Conte e avverte: ora le carte le diamo noi

Di Maio aspetta Conte e avverte: ora le carte le diamo noi
Luigi Di Maio
19 agosto 2019

Luigi Di Maio prende tempo, rimanda tutto al discorso di Giuseppe Conte domani in Senato. Troppo presto per scoprire le carte, troppe le incognite ancora in campo per tracciare – di fronte all’assemblea dei gruppi M5s – una strada. A partire da quello che farà lo stesso premier. Nel suo intervento davanti ai parlamentari Cinque Stelle, il capo politico si spende in elogi per il presidente del Consiglio, al quale rinnova “piena fiducia” e rispetto al quale respinge con nettezza ogni retropensiero di “trame segrete” perché l’avvocato “è uomo di una rettitudine che non ho mai visto in nessuno”. Ma un ministro grillino, intercettato nei corridoi della Camera, è più sibillino: “Conte è meno prevedibile di quel che pensate”, risponde ai giornalisti che gli chiedono se dunque domani il premier salirà direttamente al Colle, senza aspettare un voto, per dimettersi.

C’è poi l’incognita Salvini, che nelle ultime settimane di capriole e giravolte ne ha fatte. Prima della riunione dei gruppi, gli uomini vicini a Di Maio ipotizzavano ritorni a Canossa per Salvini, con condizioni dure: “Ora ricominciamo noi a dare le carte, ad esempio il vicepremierato non sarebbe più possibile per lui”. Così come il rimpasto di un governo Conte avrebbe altre vittime: “Non si tocca Conte, e non si tocca nessuno dei nostri. Semmai siamo noi che abbiamo due-tre ministri leghisti che proprio non ci vanno a genio…”. Ipotesi percorribile o solo un tentativo di far sembrare ancora aperto il forno Lega, nell’ottica del confronto col Pd? Nel suo intervento ai gruppi, Di Maio è durissimo con Salvini, “è disperato”, ma al Carroccio qualche segnale lo lancia: addossa al solo segretario tutte le responsabilità di una scelta di cui gli altro leghisti erano all’oscuro, auspica “l’apertura di un dibattito nella Lega”, spiega di non aver “aperto o chiuso” a nessuna forza politica.

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E al termine della riunione M5s, il coro dei parlamentari è univoco: “Con la Lega è finita, non c’è più alcuna possibilità”, è il ritornello. Dunque, o accordo col Pd o voto. Ma se la strada di un ‘ritorno di fiamma’ con la Lega è decisamente impervia, e più probabilmente tenuta in piedi solo per tenere buoni i parlamentari più riottosi ad una alleanza col Pd, complicata è anche la strada del confronto coi Dem. Ancora oggi Di Maio bollava come “fake news” targata Lega un governo con dentro i renziani. E i suoi spiegavano: “Anche un governo col Pd partirebbe da Conte, e di sicuro non potrebbe avere dentro Boschi o Lotti…”. Anche su questo versante, Di Maio lancia segnali, elencando tre punti programmatici di un nuovo contratto di governo: difesa dell’ambiente, taglio dei parlamentari e anche dei loro emolumenti, sterilizzazione delle clausole Iva.

Insomma ancora schermaglie, in attesa di ascoltare le parole di Conte, di vedere se salirà al Colle e se lo farà con o senza un voto del Senato, e poi in quel caso affidarsi al percorso istituzionale che aprirà il Capo dello Stato. Mettendo a disposizione di Sergio Mattarella i gruppi parlamentari M5s (“Compattissimi”, giurano tutti) per un nuovo governo in cui, dicono dal M5s, anche Alessandro Di Battista potrebbe avere un ruolo. Raccontando e raccontandosi uno scenario che suona così: “Siamo tornati al 4 marzo dell’anno scorso, siamo noi a dare le carte”. Anche perché se il contratto col Pd non dovesse vedere la luce, “il voto non ci spaventa”.

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