Si riaccendono le speranze con i colloqui sul Nagorno Karabakh. Hajiev: l’Italia ha ruolo importante

10 ottobre 2020

L’Armenia è pronta a riprendere i colloqui mediati a livello internazionale con l’Azerbaigian per risolvere il conflitto storico e attualmente in corso sulla regione del Nagorno-Karabakh. Lo afferma il primo ministro Nikol Pashinyan, in vista dei colloqui di cessate il fuoco a Mosca. “Siamo pronti per la ripresa del processo di pace secondo le recenti dichiarazioni dei co-presidenti e dei ministri degli esteri del Gruppo di Minsk”, ha detto Pashinyan in un russo con qualche incertezza. Pashinyan ha aggiunto che il Nagorno Karabakh è sull’orlo di un “disastro umanitario”. E le violenze aumentano la preoccupazione per la sicurezza degli oleodotti azeri che portano gas naturale e petrolio in Europa. Nel frattempo però la diaspora armena ha avviato una serie di manifestazioni nelle principali capitali mondiali, per fare pressioni sull’opinione pubblica. Scagliandosi contro non soltanto Baku, ma anche la Turchia, vista come il vero sponsor dietro l’Azerbaigian.

Proteste da Parigi a Los Angeles, passando per Stoccolma. Le bandiere armene si alternano a quelle statunitensi in questa protesta davanti alla Casa Bianca, a Washington. Intanto dall’Azerbaigian arriva la smentita, dopo le accuse da Erevan di aver distrutto un’importante cattedrale sul territorio conteso. Washington, Parigi e Mosca hanno guidato la mediazione sul Nagorno Karabakh per quasi tre decenni come copresidenti dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione nel gruppo europeo di Minsk. Il cessate il fuoco è stato ripetutamente violato dalla fine di una guerra del 1991-94 che ha ucciso circa 30.000 persone. La principale richiesta del presidente azero Ilham Aliyev per un cessate il fuoco è che l’Armenia stabilisca un calendario per il ritiro dal Nagorno Karabakh e dai territori azeri circostanti. L’Armenia ha escluso un ritiro dal territorio che considera sue storica patria. Ha anche accusato la Turchia di coinvolgimento militare nel conflitto e di invio di mercenari, accuse smentite da Ankara.

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L’Italia può avere un importante ruolo in un negoziato per porre fine al conflitto del Nagorno Karabakh, dice Hikmet Hajiev, responsabile del dipartimento esteri della presidenza azerbaigiana. Mentre si moltiplicano gli appelli internazionali per una tregua e a Mosca partono i primi colloqui tra Azerbaigian e Armenia che la Comunità internazionale spera sfocino a breve in una tregua, Hajiev respinge le accuse di bombardamenti su civili e sulla cattedrale di Shusha. E in una intervista con Askanews ribadisce le condizioni che il suo Paese intende porre per la fine delle ostilità. “Per una risoluzione del conflitto ci aspettiamo che l’Armenia fermi le sue forze di occupazione, si ritiri dai territori occupati dell’Azerbaigian e fornisca una tabella di marcia per il ritiro di queste truppe”, ha detto Hajiev, ribadendo che la responsabilità del conflitto è dell’Armenia.

Quanto alle accuse relative al bombardamento della cattedrale di Shusha, per il capo affari esteri della presidenza azerbaigiana si tratta solo di “propaganda”: “l’Azerbaigian è un Paese multiculturale con una propria comunità cristiana, e andiamo orgogliosi della nostra eredità cristiana. Le forze azerbaigiane non stanno colpendo in alcun modo edifici religiosi o cattedrali o altre istituzioni religiose”. “Noi siamo del tutto contrari all’utilizzo della religione nel conflitto e ci rammarichiamo ancora una volta con i cristiani di tutto il mondo per quanto accaduto, ma ovviamente non è colpa né del popolo né del governo azerbaigiani”, ha proseguito. Infine, il ruolo internazionale: Russia e Turchia, ma anche, e in modo importante, l’Italia, specie per quel che riguarda la risoluzione del conflitto, sul modello di quanto fatto in Alto Adige.

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“Turchia e della Russia, sono entrambi Paesi confinanti ed entrambi preoccupati da una possibile escalation della situazione; le consideriamo degli attori importanti nella continente euroasiatico, in grado di contribuire ad una soluzione globale e completa del conflitto, che implica automaticamente la fine dell’occupazione armena e del ruolo delle truppe armene nei territori occupati dell’Azerbaigian”.

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