Trump, l’ultima vendetta: Kamala Harris perde la scorta del Secret Service

Kamala Harris

Kamala Harris

 

L’ombra di una vendetta politica si allunga sulla Casa Bianca. Con una decisione che riaccende lo scontro ai massimi livelli, il presidente Donald Trump ha revocato la protezione del Secret Service all’ex vicepresidente Kamala Harris, un atto che segna un’ulteriore accelerazione della sua politica di epurazioni mirate. La notizia, anticipata dalla CNN, rivela un memorandum presidenziale che di fatto annulla la proroga concessa da Joe Biden, lasciando l’ex vicepresidente senza scorta a partire dal 1° settembre.

Una mossa dal tempismo perfetto

La decisione si inserisce in un quadro di azioni mirate che hanno già colpito figure di primo piano. Prima di Kamala Harris, Trump aveva rimosso la direttrice dei Centers for Disease Control and Prevention, Susan Moranez, e l’esponente della Federal Reserve Lisa Cook. Quest’ultima, peraltro, aveva intentato una causa contro il presidente, alimentando il sospetto che le revoche non siano altro che rappresaglie personali. La scelta di colpire Harris in un momento così delicato non è casuale: il 23 settembre l’ex vicepresidente lancerà il suo libro, “107 Days”, un memoir sulla sua breve ma intensa campagna presidenziale. La revoca della protezione a poche settimane dall’uscita del volume assume, agli occhi di molti, il sapore di un avvertimento.

L’equilibrio tra legge e politica

Formalmente, la mossa di Trump non è illegale. Le normative federali prevedono che la protezione a vita sia garantita unicamente agli ex presidenti, mentre per i vice la scorta è limitata a sei mesi dalla fine del mandato. Tecnicamente, quindi, la protezione di Harris sarebbe dovuta terminare il 21 luglio. Tuttavia, l’ex presidente Joe Biden aveva utilizzato il proprio potere esecutivo per prorogare la scorta di un anno, fino a gennaio 2026, una prassi comune che garantisce continuità e sicurezza. La revoca di questa proroga da parte di Trump spezza una consuetudine consolidata, sollevando seri interrogativi sulle sue motivazioni.

Una scia di azioni punitive

“Con la presente, è autorizzata a interrompere qualsiasi procedura di sicurezza precedentemente autorizzata a partire dal 1° settembre”, si legge nel memorandum firmato dal presidente e inviato alla ministra della Sicurezza nazionale, Kristi Noem. L’atto, nella sua fredda burocrazia, nasconde la tensione di una guerra sotterranea. La revoca della protezione federale non è una novità per questa amministrazione. In passato, Trump aveva già agito in modo analogo nei confronti di altre figure, come l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e, a marzo, persino i figli di Joe Biden, Hunter e Ashley.

Tra ringraziamenti e timori

Mentre la polemica infuria, il commento di Kamala Harris arriva tramite la sua consigliera, Kirsten Allen. “Il vicepresidente è grato al Secret Service degli Stati Uniti per la sua professionalità, dedizione e impegno incrollabile per la sicurezza”, ha dichiarato, mantenendo un tono misurato. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la decisione di Trump lascia un retrogusto amaro. Essa non rappresenta solo la fine di un accordo, ma un pericoloso precedente che alimenta il dibattito sulla strumentalizzazione del potere esecutivo per scopi personali. Se un ex vicepresidente può essere privato della protezione, quale futuro attende i funzionari che hanno osato schierarsi contro il presidente in carica? La risposta a questa domanda potrebbe tracciare un solco profondo nel futuro della politica americana.