Francia, Macron cede sulla riforma pensioni e il governo Lecornu II incassa la fiducia

Il presidente rinuncia al suo progetto-chiave per ottenere l’astensione del PS. Il costo: un Parlamento che da venerdì esaminerà il Bilancio come un campo minato.

Emmanuel Macron

Emmanuel Macron

Il governo di Sébastien Lecornu sopravvive, ma resta in bilico: l’Assemblea nazionale ha respinto le due mozioni di sfiducia (271 e 144 voti), grazie all’astensione dei socialisti dopo il dietrofront sulla riforma pensionistica. Ora il vero banco di prova è il Bilancio 2026, che dovrà passare al vaglio di un Parlamento frammentato come mai nella V Repubblica.

Il rinvio delle pensioni apre la breccia nei socialisti

Il ministro dell’Economia ha conquistato 24 ore di respiro promettendo di “mettere nel cassetto” la riforma Delpierre, approvata nel 2023 con il famigerato 49.3. Per la prima volta da due anni la gauche dell’Assemblée non ha votato compatto: PS e verdi hanno disertato l’aula, lasciando LFI e RN soli contro l’esecutivo. Il segnale è chiaro: il presidente della commissione Finanze, Éric Coquerel (LFI), ha già annunciato 3.200 emendamenti al testo che arriverà in aula venerdì 24 ottobre.

Via libera alla trincea del Bilancio, senza 49.3

Lecornu ha giurato di non ricorrere al “colpo di maglio” costituzionale, imponendosi un percorso a ostacoli articolo per articolo. La manovra prevede 16 miliardi di tagli e 8 di nuove tasse: la sinistra radicale le definisce “inafferrabili”, i repubblicani chiedono più deficit per la Difesa, i socialisti promettono emendamenti “redistributivi”. Il rischio di un emendamento “tagliola” che faccia saltare l’intero progetto è concreto: basteranno 289 voti per mandare il governo a casa.

Il fantasma del 2024: un anno e mezzo, quattro premier

Dal sorprendente scioglimento di giugno 2024, l’Eliseo ha cambiato primo ministro quattro volte. Lecornu II è l’ultimo tentativo di Macron di evitare il “cohabitation” con un’assemblea senza maggioranza. I sondaggi interni all’Élysée danno al presidente un 26% di fiducia: se il Bilancio dovesse naufragare, l’ipotesi di un nuovo voto anticipato – e di un’impensabile coalizione di centro-destra – non è più tabù.