Il cloud trema: il blackout di Amazon mette in ginocchio il mondo digitale
Un guasto globale ai server di Amazon Web Services ha paralizzato per ore decine di piattaforme digitali in tutto il mondo, dal gaming ai servizi finanziari, fino alle telecomunicazioni. L’interruzione, la più grave dal caos CrowdStrike del 2024, ha colpito servizi come Snapchat, Fortnite, Instagram, Airbnb e persino enti governativi, lasciando milioni di utenti senza accesso a strumenti essenziali della vita quotidiana.
L’episodio si è verificato martedì 21 ottobre 2025, a partire dalle 09:11 GMT, quando Amazon Web Services (AWS) — il braccio cloud del gigante dell’e-commerce — ha iniziato a registrare “tassi di errore significativi” sul suo database DynamoDB, uno dei pilastri infrastrutturali su cui poggiano migliaia di applicazioni web e servizi online. Il malfunzionamento, non ancora attribuito a una causa specifica, ha generato una cascata di disservizi che ha investito continenti, settori e aziende di ogni dimensione.
Già alle prime ore del mattino, gli utenti hanno segnalato difficoltà di accesso a piattaforme tra le più utilizzate al mondo. Downdetector, il sito specializzato nel monitoraggio di guasti digitali, ha registrato picchi anomali di segnalazioni per decine di servizi: da Prime Video ad Alexa, da Venmo a Steam, passando per Roblox, Brawl Stars e il social network Signal. Anche il motore di intelligenza artificiale Perplexity è andato offline, con il CEO Aravind Srinivas che ha confermato su X la dipendenza del proprio sistema da AWS.
Un’infrastruttura critica sotto stress
AWS non è solo un fornitore di servizi cloud: è una delle colonne portanti dell’intera economia digitale globale. Ospedali, banche, governi e multinazionali affidano a questa piattaforma il funzionamento quotidiano delle proprie operazioni. Il guasto di oggi — sebbene risolto parzialmente entro le 11:27 GMT grazie a “misure di mitigazione” — ha ricordato con forza quanto il mondo sia vulnerabile a singoli punti di rottura tecnologici.
In Francia, operatori telefonici del calibro di Orange, Bouygues Telecom e SFR hanno subìto rallentamenti nei servizi. Negli Stati Uniti, l’app di mobilità Lyft è risultata inutilizzabile per migliaia di utenti. Nel Regno Unito, il colpo è stato ancora più duro: banche come Lloyd’s e Bank of Scotland, i provider Vodafone e BT, e persino il sito dell’agenzia fiscale HMRC sono stati compromessi. La portata del disservizio ha evocato il blackout globale causato da CrowdStrike nel luglio 2024, quando un aggiornamento difettoso aveva messo in ginocchio aeroporti, ospedali e sistemi bancari in oltre 80 Paesi.
Chi resta in piedi quando il cloud vacilla?
Non tutti i servizi sono caduti sotto il peso dell’interruzione. Elon Musk, proprietario della piattaforma X (ex Twitter), ha voluto sottolineare con un tweet lapidario: “X funziona”. Un messaggio che, oltre a rassicurare gli utenti, sembra voler lanciare un segnale competitivo in un mercato sempre più sensibile alla resilienza infrastrutturale.
Il guasto di AWS arriva in un momento di crescente dipendenza dai servizi cloud, dominati da tre colossi: Amazon, Microsoft Azure e Google Cloud. La concorrenza non riguarda solo prezzi e prestazioni, ma anche affidabilità. E in questo senso, ogni interruzione assume un peso strategico, oltre che operativo.
Mentre AWS non ha ancora rilasciato dettagli tecnici sull’origine del problema, esperti di cybersecurity escludono al momento un attacco informatico mirato. Più probabile, secondo fonti interne al settore, un bug software o un sovraccarico nei sistemi di gestione del traffico dati. Resta il fatto che, in un’epoca in cui la vita digitale è indistinguibile da quella reale, un’interruzione di poche ore può avere conseguenze economiche e sociali di vasta portata.
