Guerra dei dazi Usa-Cina, raggiunta intesa preliminare: la svolta a un passo dal vertice
I negoziatori americani e cinesi hanno costruito a Kuala Lumpur un quadro che prevede vantaggi per gli agricoltori statunitensi e la sospensione parziale dei controlli di Pechino.
I presidenti Usa, Donald Trump (primo piano) e quello cinese, Xi Jinpin
Un passo decisivo verso la distensione commerciale tra le due superpotenze mondiali. Stati Uniti e Cina hanno siglato un’intesa preliminare che potrebbe segnare la fine di mesi di guerra tariffaria, proprio alla vigilia dell’incontro tra Donald Trump e Xi Jinping atteso per questa settimana in Corea del Sud. L’annuncio è arrivato ieri, domenica 26 ottobre, dalla capitale malese, dove i negoziatori hanno lavorato fino all’ultimo per preparare il terreno ai leader.
A Kuala Lumpur, il rappresentante commerciale di Washington Jamieson Greer ha confermato i progressi raggiunti: “Stiamo limando gli ultimi dettagli di un accordo che i presidenti potranno valutare e, se lo riterranno opportuno, finalizzare insieme”. Una dichiarazione che tradisce la prudenza diplomatica ma anche la concretezza dei risultati ottenuti al tavolo delle trattative. Non solo: sul piatto resta anche la possibilità di prolungare la tregua sui dazi che attualmente regge i rapporti tra i due giganti economici.
Dalla parte cinese, Li Chenggang ha parlato di “discussioni sincere e approfondite”, formula che nella retorica di Pechino equivale a un semaforo verde. Il capo negoziatore ha ufficialmente confermato il raggiungimento di “un consenso preliminare”, espressione che apre scenari inediti dopo i mesi di tensione.
Scott Bessent, segretario al Tesoro americano, ha alzato il velo su alcuni punti chiave del “quadro sostanziale” costruito dai tecnici. Al centro dell’intesa figura una sospensione parziale delle restrizioni cinesi sulle terre rare, materiali critici per l’economia tecnologica e militare occidentale. Gli agricoltori statunitensi potrebbero tirare un sospiro di sollievo: l’accordo prevede vantaggi concreti dopo che Pechino, lo scorso autunno, ha chiuso i rubinetti agli acquisti di soia americana. Sul tavolo sono finite anche le tariffe incrociate, i limiti all’export di terre rare e le sanzioni imposte da Washington alle navi cinesi, cui la Cina ha replicato con misure a specchio.
Manca ancora il sigillo politico
Eppure, nessuno dei protagonisti si sbilancia troppo. “Le prossime fasi richiederanno l’approvazione interna di ciascun Paese”, ha puntualizzato Li, ricordando che l’intesa tecnica necessita ora del placet politico nelle rispettive capitali. Un passaggio tutt’altro che scontato, considerando le pressioni interne che entrambi i leader devono gestire.
Il nodo delle terre rare resta centrale nello scacchiere geopolitico. Le disposizioni cinesi operative dal 9 ottobre, destinate a inaspririsi nei prossimi mesi, hanno stretto la morsa sull’export di magneti e tecnologie correlate, mattoni fondamentali per semiconduttori, batterie per auto elettriche, pale eoliche e sistemi militari. Materiali che l’Occidente non può permettersi di perdere.
Trump aveva brandito la clava dei dazi al 100% sui prodotti cinesi qualora le limitazioni fossero rimaste in piedi. Una minaccia che ha pesato nei colloqui, spingendo le parti verso il compromesso. Bessent, pur mantenendo i piedi per terra, ha lasciato trapelare fiducia: “Abbiamo un quadro di grande successo da sottoporre ai leader per la discussione finale”. Adesso la palla passa a Trump e Xi, chiamati a trasformare il lavoro dei tecnici in una svolta storica durante il vertice sudcoreano. Le premesse ci sono, ma la strada verso l’accordo definitivo è ancora da percorrere.
